Spiare dal buco della serratura quello che avviene in una camera di consiglio, dove 12 giurati intorno al tavolo decidono il destino di un condannato a morte.
Il teatro come una sorta di Grande Fratello, in cui noi, pubblico curioso, entriamo ed assistiamo ad un’assemblea “fatale”, a metà tra un chorus greco che lancia alta la sua vox populi, ed un’ultima cena dove il protagonista sta al di fuori, in attesa di un giudizio di vita o di morte.
Tutto questo è Dodici uomini arrabbiati La parola ai giurati (al San Babila di Milano, fino al 19 aprile) di Reginald Rose, scrittore, commediografo e sceneggiatore statunitense tra i più richiesti dalla televisione e dal cinema americano negli anni ’50 e precursore di quello che sarebbe stato chiamato il “legal thriller”.
Il romanzo “La parola ai giurati” (1954) divenne nel giro di breve tempo un testo teatrale, un telefilm e un film diretto da Sidney Lumet (Oscar alla Carriera) con Henry Fonda nel 1957, mentre una seconda versione del film fu realizzata nel 1997 da William Friedkin con Jack Lemmon.
Riportare oggi in teatro un testo, molto americano nell’impronta, ma sdoganato dal cinema e dalla tv (anche in Italia programmi con una “giuria” popolare sembrano ormai avere un grande successo) è sicuramente una scelta azzeccata.
D’altronde, esiste ancora il “colpevole fino a prova contraria”, quando, incitati dai media stessi che gridano al mostro in prima pagina e fomentati dalle trasmissioni di approfondimento (od intrattenimento?) ci erigiamo tutti a giudici e giudicanti? Ma chi siamo noi per poter giudicare?
E’ la domanda che si è posto l’autore quando ha vissuto l’esperienza reale di essere chiamato come giurato e dalla cui esperienza ha tratto il romanzo.
E’ la domanda che si sono posti i 12 giurati in scena, i 12 attori di varia estrazione, come nelle vere giurie popolari, che si trovano a dibattere di un tema più grande di loro: i giurati di cui non conosciamo il nome, ma sono indicati con un numero, potrebbero così essere ognuno di noi.
Da un’iniziale faciloneria, detttata dai ritmi della vita, dalla fretta di finire, e dal caldo claustrofobico della stanza, i 12 “uomini arrabbiati” si trovano a combattere prima contro l’unica voce fuori dal chourus e poi con se stessi ed i propri fantasmi: perchè nel giurato di fronte ci si rispecchia e le esperienze di vita portano all’analisi più attenta di prove che sembrano evidentissime.
Un testo magistralmente scritto per 12 attori perfettamente concertati, dalla mano registica attenta di Marco Vaccari, che si ritaglia anche il ruolo di giurato n.8, quello che si fa prendere dal ragionevole dubbio.
Una pièce che rispetta alla perfezione l’unità di tempo e di luogo, dove assistere in tempo reale al dibattito può diventare pesante, se non diretto ed interpretato in questo modo, naturale, verosimile e assolutamente coinvolgente.
Bravi quindi tutti i protagonisti in scena, che non perdono un colpo né una battuta, tenendo alta, ed anzi, accrescendo, la tensione emotiva dello spettacolo e complimenti al regista che li ha diretti e diretto se stesso, durando ogni piccolo particolare.
E più crediamo a questa camera di consiglio, più riflettiamo su di noi, sulla cronaca di oggi e di ieri, sulla paura e le titubanze legittime di chi il lavoro di giudicare lo fa per mestiere.
E se il teatro è catarsi, non perdetevi questa esperienza sul palco, così simile alla vita di tutti noi.
Spettacoli stagione di prosa
Martedì – Giovedì – Venerdì – Sabato ore 20.30
Mercoledì – Domenica ore 15.30
Biglietti da euro 22 a euro 27,50
Teatro San Babila
Corso Venezia, 2/A – 20121 Milano
Biglietteria: 02 798010
PARCHEGGIO CONVENZIONATO
BEST IN PARKING
PIAZZA MEDA, 2/A – 20121 Milano
Tariffa forfait di € 5,00 nella fascia serale dalle ore 19.30 alle 01
Fascia pomeridiana dalle 14.30 alle 18.30