Forse all’epoca dei loro esordi, non tutti conoscevano l’esatta ubicazione del New Jersey, ma dopo la scalata alle classifiche dei brani dei Four Season, i sobborghi italiani dell’America, da cui si poteva uscire solo diventando mafioso, famoso o andando in galera sono balzati in primo piano nell’immaginario collettivo U.S.A. e non solo.

E poco importa al grande pubblico delle connivenze mafiosette dei favolosi 4: d’altronde, Sinatra fece storia.

Tanto è vero che quasi tutti i successi dei «Fab Four» del New Jersey (Musiche Bob Gaudio, Liriche Bob Crewe) sono stati coverizzati e tradotti, negli anni ’60 da interpreti nostrani che vanno dai Pooh, ai Camaleonti o a Mina.

E le versioni originali inglesi sono arrivate da noi grazie all’inserimento in pellicole come Forrest Gump o Dirty Dancing, che ha saccheggiato a piene mani nel loro repertorio.

Per cui, anche se vi foste persi il film uscito in Italia nell’agosto 2014, diretto da Clint Eastwood, andando al Teatro Nuovo a vedere Jersey Boys, con l’illuminata regia di Claudio Insegno, potrete riconoscere almeno l’80% delle canzoni, anche se, forse, non ne conoscete il titolo.

Lorenzo Vitali alla Direzione Artistica della storica sala di piazza San Babila ci ha visto giusto: ha scommesso sulla produzione di un grande musical americano, poco conosciuto in Italia, ed ha vinto, regalandoci uno spettacolo di indubbia qualità e di grande impatto.

“Regia illuminata” di Claudio Insegno, dicevo: Claudio ha confezionato uno spettacolo che non vede mai cali di ritmo e di energia, estremamente fluido, senza quel rischio, tipico di alcuni musical, di presentare quadri poco amalgamati e slegati tra loro.
La verve comica e l’ironia, che ormai sono un po’ il suo marchio di fabbrica, non indugiano sulla comicità facile, tranne forse per l’unico personaggio sopra le righe, il bravissimo BRIAN BOCCUNI, come Bob Crewe, che è passato da un omosessuale soft di Processo a Pinocchio, alla classica figura stravagante, tipica dell’immaginario collettivo da Vizietto.

Per il resto, troviamo battute che calzano perfettamente ai caratteri dei personaggi, descritti con mano naturalistica e naturale, che fanno ridere o sorridere con un testo non forzato.
Vedere poi in scena artisti di musical di estrazione diversissima, ma con grande professionalità, talento, preparazione e gioia di lavorare, ci fa pensare che la scelta del regista sugli 1800 performer provinati sia assolutamente da lodare.

Bravi. Belli. In parte.

I 4 Four Seasons sono un piacere da ascoltare e vedere: se le vocalità, dal perfetto falsetto di Alex Mastromarino (Frankie Valli) all’impasto vocale con gli altri tre (Marco Stabile as Tommy Devito, Flavio Gismondi as Bob Gaudio, Claudio Zanelli as Nick Massi), ci riportano esattamente quelle atmosfere, la parte visiva è del tutto di pari livello.
Onore al merito al Coreografo Valeriano Longoni ed alla sua assistente Chiara Leonetti: hanno fatto muovere persone che mai avevamo visto prima fare un passo di danza.

La coordinazione ed i movimenti netti e precisi fanno capire che davvero chi dirige debba utilizzare (ahimè, non sempre) una “tecnica per via di levare” michelangiolesca.
D’accordo: cavare sangue da una rapa non è sempre facilissimo, ma evidentemente qui il talento c’è. E si vede.

I protagonisti?

Vera rivelazione dello spettacolo, Alex Mastromarino as Frankie Valli: certamente non per me, che lo vidi e seguii dagli esordi, sia come artista che come attore, ma che spesso ha coperto parti da caratterista o comunque non protagonista, come in Aladdin, con il the best of musical Manuel Frattini od il delizioso Pippi Calzelunghe, targato Fabrizio Angelini.

Qui, si prende tutti i suoi applausi e se li merita uno per uno: presenza, voce dal registro amplissimo e sicurezza sul palco, uniti a quella piccola soddisfazione di “avercela fatta”, che fa brillare l’occhio e aumentare la voglia di dare il massimo. Molti si chiederanno dove è stato finora.

Accanto a lui, uno straordinario Flavio Gismondi (Newsies, solo per citarne uno, ma in futuro sarà anche in Georgie il musical), nuovo primo attore del musical italiano, che appartiene a quelle nuove leve, come Luca Giacomelli Ferrarini, che lo portano ad essere sempre più presente sui palchi italiani: il suo creativo, pulito e determinato Bob è perfetto e senza sbavature e, vi prego, notate i suoi passi tersicorei dietro la tastiera.

Marco Stabile, voce cantante di Dirty Dancing, con quell’aria un po’ retrò, ci dà un Tommy De Vito canaglia quanto basta, antipatico, ma carismatico quanto basta: voce perfetta per questi brani anni ’60.

Last but not least, il Nick Massi di Claudio Zanelli (lo vedremo presto in Georgie il Musical, ma lo abbiamo trovato anche in America e L’Ultima Strega), uno dei personaggi meglio scritti, defilato all’inizio, con le sue battute tranchantes (com’è nello stile di Zanelli), che cede dalla sua aria assente per alcuni monologhi di grande presa sul pubblico. La sua è la recitazione più naturale di tutto il cast, forse anche per il la scrittura della parte.
Ma non finisce qui.

Come dimenticarsi di tutto il resto del cast, che spesso si trova a coprire più ruoli ed a cambiare d’abito a tempo di record?

Come per l’inossidabile (bè, forse in Frankestein Jr un po’ ossidabile lo era..) Felice Casciano, che passa dal classico mafioso che si commuove su un brano dedicato alla madre al giudice in tribunale o al sacerdote per il colpo di scena, che non svelerò, sul finale dello spettacolo.

Ma oltre al già citato Brian Boccuni, troviamo il simpaticissimo e scanzonato Joe Pesci di Giulio Pangi, l’eclettica Giada D’Auria come Francine, La Mary Delgado (con la y) di Alice Mistroni, che sono felice di rivedere in Italia, e l’ensemble composto comunque da bei nomi, come Max Francese, Roberto Lai, Gloria Miele, Elena Nieri, Giuseppe Orsillo e Pasquale Girone Malafronte, che coprono ruoli che non sono solo di ensemble.

Il tutto in una scenografia essenziale ma perfettamente sfruttata in ogni sua parte di Roberto ed Andrea Comotti, arricchita da proiezioni originali e d’epoca (di Francesca Del Cupolo ed Erika Dolci, con la supervisione di Francesca Biral) e da bei costumi della firma Graziella Pera, luci di Gianluca Brunelli e disegno audio di Armando Vertullo.

Dulcis in fundo, evviva, l’orchestra in buca, con la supervisione musicale di Emanuele Friello e la Direzione Musicale/Tastiera 3 di Angelo Racz: a testimonianza che spendere qualcosa in più per la musica dal vivo può solo fare bene al genere musical (una chicca, alla tastiera 1 troviamo la performer Claudia Campolongo, tornata al suo primo amore, la musica).

JERSEY BOYS, il MUSICAL è, infine, un tuffo nel passato, ma senza la patina di nostalgia, nessun b/n se non nelle proiezioni, con un tocco di pop art, per ricordarci che le belle storie, ben realizzate e fatte con professionalità, sono decisamente attuali e quasi futuriste.

Sperando davvero che anche questo tipo di spettacoli siano il futuro, con un occhio alla tradizione.

Lo spettacolo sarà al Nuovo di Milano fino al 15 maggio: e poi non ditemi che non ve lo avevo detto.

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