Ha debuttato il 6 e 7 agosto, alla Fenice di Venezia, Dorian Gray, la bellezza non ha pietà, con Matteo Setti.
Luca Virone, mio fedele lettore e performer, è andato a vedere lo spettacolo e ci ha mandato il suo parere. Prossima pagina.
A fine articolo, rivediamo le mie interviste.
“Dorian Gray: la bellezza e la brutalità di chi non conosce limiti”
Dagli scorci dei ponti dell’eterna Venezia si possono ammirare le bellezze e lo sfarzo della repubblica marinara. Chiudendo gli occhi si entra in un mondo pieno di lusso e peccati simbolo della bellezza. La vera bellezza. Colei che ha accompagnato Dorian Gray per tutta l’opera, in un vortice di emozioni e sensazioni. La cornice è storica e volutamente narcisista: il Gran Teatro La Fenice abbellisce ciò che l’occhio implora! Non stupisce affatto la paura dell’ovvio tratto dalla conoscenza planetaria dell’opera: lo spettacolo è una piccola perla di passione e sensazioni da lasciare lo spettatore a bocca aperta ad ogni nota, ad ogni gesto. Nulla di scontato e ovvio proviene dalla narrazione, Dorian (interpretato da Matteo Setti, strepitoso su ogni canzone, un po’ meno coinvolgente nella recitazione) culla, seduce, morde, bacia e butta via il pubblico in un turbinio di emozioni che lui stesso prova e ad impatto trasmette (cosa non ovvia e scontata). Perfetta ed efficace l’idea di contrapporre alla bellezza di Dorian la sua anima (in scena interpretata da uno straordinario ballerino Thibault Servière) che denota ancor più il suo animo spietato e freddo. Come un bacio prima della morte. Si viene catturati per circa un’ora e mezza dalle canzoni a volte dolci, a volte terribili e atroci di chi fa della bellezza un’ossessione. Particolare la scenografia, semplice ma efficace, che contrappone il duello tra anima e corpo al delirio di bellezza ed onnipotenza. Bellissimi i giochi di luci e le proiezioni di immagini che rivelano quanta cura del dettaglio ci sia in questo spettacolo. Il genio di chi ha scelto come interpretare l’opera esplode nel finale, quando Dorian toglie il telo al quadro: in simbiosi mentale e fisica con la sua anima prende per mano lo spettatore e lo porta con sé verso il finale dell’opera, conosciuto ma emotivamente coinvolgente e devastante. Il protagonista muore a causa della sua eterna lotta con la sua anima: la bellezza da una parte e dall’altra la crudeltà della società ottocentesca che si basa su ideali di lavoro e di libertà. La sua colpa: essersi innamorato di se stesso e non aver mai dato ascolto alla sua anima. Queste sono le sensazioni che l’opera ha trasmesso e un grandissimo applauso va a chi ha creduto nel progetto. Pierre Cardin ha davvero il merito di avere tra le mani ciò che ha inseguito con la moda per tutta la vita: la bellezza e la naturalezza di ciò che siamo. Una citazione particolare per le grafiche (Sara Caliumi) che hanno creato la magia di Dorian.
La chiave dello spettacolo sta in questa citazione: “Per te io rappresento tutti i peccati che non hai mai avuto il coraggio di commettere”. Peccati che costano cari. Perchè se e’ vero che la bellezza e’ un dono… E’ fondamentale ricordare che la bellezza non ha pietà! Di nessuno”.