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Teatro Franco Parenti: LEAR. LA STORIA, la recensione di Lucio Leone

Anche oggi ospito sul mio portale una recensione del mio stimato collega Lucio Leone, che è andato a vedere per noi, al Franco Parenti di Milano, LEAR. LA STORIA (di William Shakespeare), andato in scena dall’11 al 16 ottobre, nella traduzione di Masolino d’Amico.
In scena, Mariano Rigillo, Anna Teresa
Rossini, Sebastiano Tringali, David Coco, Filippo Brazzaventre, Silvia
Siravo, Giorgio Musumeci, Luigi Tabita, Ugo Bentivegna, Enzo Gambino,
Roberto Pappalardo.

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“Nella smania di rinnovare non sempre le interpretazioni di un Classico ne rispettano l’essenza. “Lear. La Storia” di Giuseppe Dispaquale con Mariano Rigillo nei panni dell’arrogante re raccontato da Shakespeare è invece un ottimo allestimento in cui le idee del regista attualizzano e valorizzano il testo.

 Lear. La Storia è quello che si può definire un’ottima messa in scena moderna di Shakespeare. Le opere del Bardo infatti, col loro incomparabile bagaglio di persone, esperienze, dinamiche umane si prestano potenzialmente a una infinità di diverse chiavi di lettura da parte di artisti che non sempre, ahimè, rendono loro giustizia. E quindi, quando se ne intende affrontare una con piglio rivoluzionario, il rischio è sempre che se ne stravolga il messaggio, snaturandola e privandola della forza che l’autore le aveva regalato fin dall’inizio. Questo, fortunatamente, non succede con il lavoro in questione di Giuseppe Dipasquale che ne firma la regia e l’adattamento (su traduzione di Masolino D’Amico). Frutto di una co-produzione del Teatro Stabile di Catania e quello di Napoli, Lear. La Storia infatti è una messa in scena solida, che usa intelligentemente il materiale drammaturgico senza stravolgerne l’impianto tradizionale arricchendolo con intuizioni e idee come per l’appunto dovrebbe sempre fare un regista rispettoso e sensibile nei confronti di un’opera (ancor più se si tratta di un classico, ma ovviamente il discorso può essere declinato per qualsiasi testo).

La scelta di fare interpretare le due figlie corrotte dalla smania di potere a due uomini non en travesti, affatto ispirata o mutuata dalla tradizione elisabettiana, è in quest’ottica un gesto fortissimo ma non fuori contesto, che dimostra come l’animo umano sia virtualmente senza sesso di fronte alle proprie emozioni, e che sono alcune costruzioni sociali a essere identificate a posteriori in mascolinità e femminilità. Goneril e Regana quindi, esattamente come Lear, finiscono per vivere una parabola trasformandosi davanti agli occhi degli spettatori in ciò che le loro azioni mettono in moto e contrapponendosi alla candida staticità di Cordelia. Due oscure principesse-donne subiscono dunque in piena vista una impercettibile me inequivocabile metamorfosi in assassini-uomini, mentre un vecchio permaloso si trova a contemplare la propria discesa all’inferno con piena e (di conseguenza) tragica consapevolezza.

A capitanare un cast di buon livello (Sebastiano Tringali, David Coco, Filippo Brazzaventre, Cesare Biondolillo, Enzo Gambino) è l’assolutamente esaltante Lear di Mariano Rigillo, che affronta uno dei ruoli iconici per un attore all’apice della carriera con profondità emotiva e spessore psicologico. Il teatro è verosimiglianza e realtà, lui ne offre una grande lezione. Coinvolgenti e convincenti anche la prova dell’ottimo Giorgio Musumeci-Edgar, quella della misurata Cordelia di Silvia Siravo e quella di Anna Teresa Rossini, che dimostra una grande padronanza della scena da attrice eclettica e talentuosa qual è, e che riesce nella difficile impresa di dare senso alla scelta di regia di rendere il Matto un personaggio molto moderno al punto da risultare stridente, tanto è esterno al contesto in cui si muovono tutti gli altri attori.

Qualche perplessità per le luci che risultano più funzionali che suggestive e non aiutano i bei costumi di Angela Gallaro, e per la scelta di non calibrare la recitazione dei due attori uomini che interpretano in maniera differente la femminilità interiorizzata richiesta per le “principesse” e che, pur funzionando separatamente, paiono dissonanti tra loro nelle scene insieme. Pienamente manifesta la trasformazione nell’arco della tragedia di Luigi Tabita-Regana da manipolatrice seduttiva a mostro efferato, meno evidente quella di Roberto Pappalardo-Goneril che preferisce muoversi in un suo range più cerebrale che teatrale.

Il pubblico del Franco Parenti, certo preparato ed esigente, era evidentemente conquistato dalla qualità dell’insieme. Dispiace solo che in una piazza come Milano, al termine di due fortunate stagioni, Lear. La Storia abbia avuto davvero pochi giorni di repliche, ma l’augurio per la sala meneghina (e per le piazze non ancora toccate dalle tournée) è che questo allestimento venga riproposto presto per il piacere anche di chi non avesse avuto ancora modo di vederlo.

di Lucio Leone

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