Domenica 23 luglio, per il Festival Internazionale Teatro Romano Volterra (viale Francesco Ferrucci, 56048 Volterra), alle 21.30 andrà in scena AGAMENNONE, di Fabrizio Sinisi (da ESCHILO)
con Agamennone Paolo Graziosi (qui la sua intervista per Edipo In Compagnia).
Clitemnestra Elena Ghiaurov
Cassandra Alessandra Falluchi
Coro (La Città) Elisabetta Arosio
Regia Alessandro Machìa
Agamennone ritorna ad Argo dopo dieci anni di guerra, ma non solo la sua città e il suo popolo, non solo sua moglie Clitemnestra, ma la vita stessa non è più quella che aveva lasciato. Una nostalgia simile alla violenza si è impadronita delle menti, e nel tempo è diventata ferocia. La città è in preda all’anarchia e al disordine – in dieci anni tutto sembra irrevocabilmente cambiato.
Ambientato in un paese abbattuto e confuso, logorato dalla crisi e dalla fame, ormai al di là della politica, in un tempo che è livida trasfigurazione dell’oggi, a ridosso di una guerra dove tutto si è perso e nulla si è guadagnato, Agamennone è una riscrittura contemporanea del classico greco in cui il tragico viene ri-attuato e scatenato nei suoi elementi essenziali: amore e rabbia, erotismo e cupezza, tristezza e furore. Il male compiuto non può essere cancellato, l’amore perduto non può essere riconvertito, la vita consumata rimane irrecuperabile ai vivi. Nell’impossibilità di redimere e riafferrare il passato, il tragico torna ad accadere oggi, e si fa brutalmente contemporaneo; a dispetto dei progetti di razionalità e di dominio sulla natura e sugli istinti, l’irrazionale emerge sempre di nuovo come l’elemento più proprio dell’essere umano e il mitologico sopravvive intatto al di sotto del lògos.
Agamennone, scritto in versi metrici, impostato secondo un curioso ripensamento delle unità aristoteliche, è anche una proposta di un nuovo modo di pensare la scrittura scenica: una forma estremamente originale e moderna di «teatro di poesia» da parte di uno dei più importanti giovani autori della nuova drammaturgia italiana.
«In Agamennone di Fabrizio Sinisi il trattamento del mito, così inizialmente livinghiano, bilanciato fra lirismo e denuncia, s’incanala esistenzialmente: uomini soli ed eliotianamente “vuoti”, carichi di violenza e di rimorsi, quasi mortificati dalla materia, si muovono sulla scena della storia alla ricerca della propria sfuggente verità interiore». (Franco Perrelli)