Vi siete mai chiesti perché A Chorus Line si chiama così?
CHORUS: sm. [sec. XIII; dal greco chorós, luogo dove si danza, coro della danza, tramite il latino chorus]:
Nell’antico teatro greco, il complesso dei danzatori; il canto e la danza da esso eseguiti; il luogo stesso dell’esecuzione.
E, chiaramente, “coreografia” viene dal greco χορεία ovvero “danza” e da -grafia, dal greco γραϕία cioè “scrittura”.
Linea di danza, quindi.
Per questo, non farò la recensione.
Chi mi segue, sa che solitamente non faccio recensione se uno spettacolo non mi è piaciuto, perché so che comunque c’è un lavoro dietro, c’è uno staff ed un cast che ci credono, ci sono maestranze che si impegnano. E questa cosa, suscita spesso disappunto tra i colleghi, che, giustamente, la pensano in maniera diversa.
Ma tant’è.
Questa volta, però, il motivo per cui non farò recensione è differente.
Se è vero che sulla Line tutti devono essere uguali, non voglio parlare di un artista piuttosto che di un altro: non voglio esaltare nessuno, anche se, ovviamente, ho le mie preferenze.
La line è democratica, ma attenzione: non livella, esalta.
E se è vero che Cassie dà di più, è vero anche che, per partecipare alla fila, deve uniformarsi agli altri.
Ma Chorus Line è anche la storia di ogni persona, prima ancora di ogni artista. E’ la storia di ogni performer che è arrivato a fare questo spettacolo, è la storia di quei ragazzi che ho intervistato qualche giorno fa.
Ed è anche la storia dei ruoli che hanno, così ben raccontati, con la regia di Chiara Noschese.
Così, ognuno di loro, pur nella omogeneizzazione della line, diventa speciale, come dice anche Cassie – Roberta Miolla nel suo faccia a faccia con Zach, lo straordinario regista dello spettacolo nello spettacolo (sì, perche questo è teatro nel teatro), interpretato da Salvatore Palombi, che tiene letteralmente le fila della fila.
Per cui, quando alla fine godiamo di One, con le coreografie di originali, riprodotte magistralmente da Fabrizio Angelini, in ognuno di quei volti, rivediamo e ripensiamo alla storia che ci hanno raccontato nello scorrere dello spettacolo.
E capiamo la gioia di Fabrizio Angelini che interpretò il musical anni fa, ma anche la gioia di ogni singolo artista su quel palco, moltiplicato dagli specchi nelle scene di Lele Moreschi: artisti che diventano quelli sul palco, ma anche quelli che non sono nello spettacolo.
Quelli nel pubblico, che sognano di salirci, i ragazzi selle scuole, che stanno studiando, ma anche la signora che non conosce A Chorus Line e che può capire come nasce un musical.
Perché non è solo lustrini e pailettes, è anche dolore e cercare disperatamente di pagare le bollette: perché, purtroppo, l’arte e la creatività, soprattutto ora e soprattutto in Italia, non paga e nel sappiamo qualcosa anche noi giornalisti.
La straordinaria attualità del testo che disegna uno spaccato americano è quanto mai da brivido qui ed ora, quando chiudono i teatri ed i corpi di ballo stabili, come recentemente quello di Verona.
Cosa fare per evitare tutto questo? Riempire le platee ed andare a vedere spettacoli come A Chorus Line, di cui non farò recensione per i motivi sopra citati, ma forse, guarda un po’, almeno parzialmente, l’ho fatta.
Gustatevi il video sotto e poi chiudete il pc o lo smartphone ed andate a teatro.
P.S. Non h parlato della band dal vivo, ma vale la pena citarla.
QUI PER LE INFO E LA CARTELLA STAMPA.
GRANDE SPETTACOLO. IMMENSA CHIARA NOSCHESE. VERAMENTE TOP !!! DA NON PERDERE