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WE WILL ROCK YOU: recensione e curtain call


WE WILL ROCK YOU (di Queen & Ben Elton) è tornato.

Il rock dal vivo, la musica dal vivo, sono tornati.

Nei due anni di chiusura, Claudio Trotta fu uno dei principali fautori della riapertura delle sale teatrali e dei palazzetti, mentre, con dati alla mano e studi di fattibilità, asseriva come la sicurezza dal covid fosse assicurata negli eventi dal vivo.

Ri-portare in scena come Produttore questo spettacolo è la naturale e sacrosanta chiusura del cerchio.

Il messaggio principale del testo del musical assume una valenza ancora maggiore oggi, come se davvero, all’epoca della chiusura, fosse stato profetico.

L’attualizzazione del copione, così presente da sempre in questo spettacolo, ha avuto un’accelerata quasi paradossale, per le limitazioni che abbiamo vissuto tutti negli ultimi periodi.

Perché We Will Rock You non narra solo di bullismo, di omologazione, di abbattimento della creatività e di divieto di immaginazione: porta sulla scena l’essere umano con il suo bisogno di essere sociale e non social, di essere insieme e non separato, di riunirsi per cantare, suonare, fare arte dal vivo e con strumenti veri.

In un mondo dove vince chi ha più “amici” virtuali, quelli che possono dare introiti e che sono così “gettonati” oggi (a proposito, che ne è dei BitCoin?), la voce degli artisti sulla scena si alza alta e forte ed il pubblico risponde con vigore ed entusiasmo, perché, dopotutto, abbiamo capito che stare da soli nella propria stanza a fare selfie non è la vita vera.

E se l’hastag #iocero può avere un qualche senso, lo ha davvero per tutti coloro che hanno deciso di uscire di casa ed andare a teatro ad assistere ad uno spettacolo teatrale.

We Will Rock You poi, è lo spettacolo giusto per tutti quei millenials che amano le serie Netflix di carattere distopico, da The Rain, a Manifest, a Into the Night, fino a the 100.

Ma piacerà anche ai più grandi che hanno visto pellicole cult come 1984 dal romanzo di Orwell.

Piacerà, ça va sans dire, a chi ama ed ha amato i Queen e tutti i loro brani immortali.

Ma piacerà anche a chi ama la musica, perché in questo spettacolo, ce n’è tanta, cantata e suonata dal vivo, con artisti straordinari, alcuni dei quali ancora del primo cast – per gli amanti di questa locuzione – quello della versione del 2010. 

Marta Rossi è di nuovo Scaramouche: privatamente, mi ha raccontato di avere il dubbio di potere dare ancora qualcosa a questo personaggio, ma, come potrete vedere andando a teatro, Marta è Scaramouche.

La Rossi è cresciuta, ha fatto altre esperienze, ma, forte di una voce davvero incredibile per potenza e modulazione, riesce ancora una volta a dipingere una ragazza forte, volitiva, ma anche ironica ed autoironica, con una simpatia innata verso il pubblico con cui non si può con empatizzare.

Khashoggi è ancora Salvo Bruno ed anche di lui vidi i provini all’epoca, ancora più sfaccettato e cresciuto nella parte attoriale. Massimiliano Colonna è di nuovo Pop, ma un Pop (potete leggerlo anche al contrario) più maturo, meno schizzoide, più saggio e calibrato.

Alessandra Ferrari, che fu Scaramouche nell’ultima versione, è passata a darci una deliziosa Oz, dimostrando come quando c’è talento e professione si possa scivolare in panni diversi, portando la propria personalità e senza imitazioni.

Stessa cosa posso dire per tutte le new entry: Damiano Borgi è il nuovo Galilelo, attore che ha debuttato sui palchi nelle Opere Popolari e che sfrutta abilmente la sua vocalità anche nel rock. Killer Queen stavolta Natascia Fonzetti: discostandosi totalmente dalla precedente meravigliosa Queen, ci regala un suo personaggio, più Lady Gaga, con i capelli fucsia e costumi diversi, ed anche il Brit di Mattia Braghero è meno caricato e più attoriale, grazie anche ad un’ottima voce nel recitato, che lo rende differente dal, seppur incredibile, Brit della versione precedente.

CURTAIN CALL

E se la musica è protagonista, con la Direzione Musicale di Riccardo Di Paola e la Direzione Musicale di Antonio Torella, le energiche coreografie di Gail Richardson – per un ensemble ben assortito che spesso prende anche la parola – riempiono lo spazio distopico della scena, coordinata nelle sue parti dalla mano della regista Michaela Berlini.

L’impianto luci da concerto rock (come poteva essere altrimenti) e la band dal vivo di straordinaria efficacia sono solo la conditio sine qua non per uno spettacolo che gioca tutte le carte per riportare la gente a teatro. 

E se in chiusura tutta la platea e la balconata si alza in piedi cantando e ritmando il tum tum – tu del brano principale, possiamo ben sperare per il futuro dello spettacolo dal vivo.

Il futuro non è scritto: scriviamolo con la nostra creatività, immaginazione e con il rispetto del mondo dove ci troviamo, prima che diventi un freddo e sterile pianeta Mall.

Sul numero di gennaio di Riflettori su Magazine, troverete le mie interviste allo staff di We Will Rock You e sul numero di febbraio, il servizio con gli interventi del cast.

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