Nel 2022, vi avevo proposto la mia recensione (potete leggerla qui a pagina 64) della prima serie di Tutto Chiede Salvezza e l’intervista doppia a Daniele Mencarelli, autore del romanzo, e Francesco Bruni, regista della serie.
Un’occasione affascinante, per una giornalista, potere intervistare l’autore del libro e della trasposizione su pellicola ed il regista della trasposizione cinematografica.
INTERVISTA DEL 2022:
Ammetto che, come tutti, ho avuto un brivido di timore, nell’approcciarmi alla seconda serie, chiaramente non tratta dal romanzo.
Ma le mani sapienti dei due autori e, non dimentichiamo, di Daniela Gambaro, hanno saputo lavorare insieme per dare vita ad un secondo gioiellino che dà lustro al panorama italiano non solo di Netflix, ma del mondo della fiction in generale, quelle fiction che non passano sulle tv generaliste e che, a volte, raggiungono meno pubblico: mi auguro che non sarà così, vista la qualità dell’opera e il tema importante che viene trattato (peccato non averlo fatto uscire addirittura il 10 ottobre, ovvero il World Health Mental Day – Giornata mondiale della salute mentale).
Perché, vedete, mai come oggi di salute mentale bisogna parlare e bisogna farlo bene. E magari, con una punta di leggerezza, veicolo migliore per trasmettere un messaggio.
D’altronde, dove inizia l’autobiografia e dove inizia la fantasia? Il progetto creativo non scaturisce forse dall’anima, oltre che dalla vita dell’autore? E l’autore stesso non è forse creatore di realtà o, oserei dire, della propria realtà?
Dove si colloca il confine?
IL CONFINE – LIMES
Il limes è, secondo la Treccani, il «sentiero, strada delimitante un confine tra due campi». In età imperiale passò a designare una strada militare fortificata ovvero l’insieme delle fortificazioni poste lungo i confini.
Inizialmente, però, il limes non era una barriera insormontabile, ma un luogo di contatto e di incontro tra due popoli e due culture, una linea permeabile lungo cui si scambio di merci, idee, gente…Un po’ come la nostra pelle, che ci delimita, ma è porta di ingresso ed uscita per sensazioni, umori o sostanze che vengono da fuori.
Così, questa seconda serie non è più delimitata dalle quattro mura dell’Istituto San Francesco, ma sfonda le pareti (come la quarta parete teatrale) per dilagare nel mondo esterno.
Questa continua apertura verso il fuori, si rispecchia nei personaggi, soprattutto quelli della prima serie che sono stati dimessi, ma che in qualche modo ritorneranno “dentro”.
Primo tra tutti Daniele (un sempre più sorprendente Federico Cesari), che ritorna sulla nave dei pazzi, ma questa volta come infermiere tirocinante.
Ma quasi tutti i personaggi riappaiono in quell’ospedale, o solo nella serie, chi con una nuova vita, come Gianluca (Vincenzo Crea), chi da “un’altra vita” (solo su Pennacchi andrebbe scritto un saggio) e qualcuno, invece, resta sulla soglia, sul limen, come Giorgione (Lorenzo Renzi, che si crea addosso un personaggio incredibile), che lavora come giardiniere intorno all’edificio, Madonnina (Vincenzo Nemolato, ottimo attore teatrale) o Alessandro (Alessandro Pacioni), che è lì, ma non è davvero lì … o forse sì?
Sarà proprio Alessandro il trait d’union principale tra il dentro ed il fuori, che, come per i suoi compagni di navigazione, fluttuerà tra le due dimensioni, e sarà il protagonista di uno dei momenti più intensi della serie.
Ma il dentro ed il fuori, non è chiaramente solo logistico.
Il dramma interiore e la sua esternalizzazione, la sofferenza contrapposta alla speranza ed alla voglia di ritrovarsi sono così ben descritti in questa seconda stagione ed esposti con dialoghi così azzeccati, che solo grandi attori come quelli scelti avrebbero potuto renderli al meglio.
E come afferma un altro attore di eccellenza, Filippo Nigro, come Dott. Mancino, la linea di demarcazione tra la follia e la normalità è data solo dal caso.
IL CASO
La parola “caso” viene etimologicamente dalla parola cadere.
Si cade innamorati, secondo la lingua francese e quella inglese, si cade preda delle emozioni, che sono energie in movimento.
Si cade vittima della depressione, degli attacchi di panico, che altro non sono che energia imprigionata.
Si cade, nella vita.
Ed attenzione. Mario, nella prima serie, non si è gettato, è caduto dalla finestra per nutrire un uccellino che conosceremo in un cimitero, una figlia delusa ed arrabbiata, Angelica, e che ha gli stessi colori di Daniele, fuori e forse anche dentro.
Si cade per il troppo dolore, quello che può rendere un’altra persona – sul limite – una strega, una banshee, una fata diventata mostro per la troppa sofferenza. E conosceremo così un nuovo personaggio, Matilde, di una bellezza sfiorita come per un fiore senza acqua, una divina Drusilla Foer, che si presenta con urla strazianti e che, come per un personaggio mitologico, esordisce con un “Ti Vedo.”
La citazione è molto di più di quella che pensate: in quello sguardo non c’è solo il Ti amo di AVATAR, ma che è anche il saluto atavico usato da alcune popolazioni africane all’incontro con un altro essere umano sconosciuto sino a quel momento.
Perché quando ti vedo, ti riconosco.
Scomodiamo la fisica quantistica e l’effetto Osservatore: quando si osserva un elettrone che ha forma di onda, nel momento dell’osservazione, la stessa diventa particella. Vi è dunque una correlazione tra l’osservante e l’osservato, e la realtà è la risultanza fra osservatore ed osservato.
L’universo esiste perché vi è un osservatore, ti vedo e ti “formo”, ti creo, e la comprensione della realtà dipende dalla prospettiva.
Per questo, lo sguardo dell’Erinni Matilde inchioda e turba Daniele, perché gli rimanda l’immagine di se stesso.
E nel rapporto con l’altro, ci si ritrova.
E non è un CASO, che lo strumento di morte – o di liberazione – passi attraverso un frammento di specchio.
Non è un caso, ancora, che la narrazione passi dalla prima persona narrativa alla terza, Daniele diventa esso stesso un osservatore della vicenda e di se stesso, quasi un chorus greco, con una vita in fieri (ed una figlia) e che con la sua empatia porta su di sé le croci del dolore di tutti.
Tutto questo e non solo è Tutto Chiede Salvezza 2.
La mia libera interpretazione deriva da una serie, che pone delle domande, apre dei quesiti, scopo principale di ogni arte.
E se nelle 5 puntate si ride, ci si commuove e ci si riconosce, non è solo per la leggerezza o per la concretezza delle storie raccontate: vero, troviamo l’amore e le famiglie che reagiscono differentemente alle situazioni.
Troviamo anche la Roma burina, la Roma “bene”, quella parte esteriore ed esterna che è la vita di tutti i giorni, dalla Stadio all’Università.
Troviamo personaggi veri e vividi, che nella storia sono cresciuti, come la Nina di Fotinì Peluso, ma che rischiano sempre di cadere, come tutti.
Forse, sarebbero state necessarie qualche puntata in più, per permetterci di conoscere meglio le straordinarie new entries, come lo strafottente Samuel Di Napoli – Rachid ed altri due personaggi poco sviluppati, di Marco Todisco Paolo e Vittorio Viviani Armando, che portano però un altro tema importante, quello della casa, vera, fisica, reale, e non solo la nostra mente od il corpo…
Un altro sottotema che arricchisce di spunti una serie che era nata da un romanzo e come un bel romanzo si divora in poche ore e quando finisce, lascia la sensazione di avere perso degli amici, di cui vorremmo conoscere ancora il futuro e la storia.
Ma per questo, ripassiamo la palla gli autori che, come Rashid, sapranno sapientemente “giocarci”: ce lo auguriamo.
Post scriptum:
Una suggestione, in chiusura: Daniele trova luce e conforto nella poesia. Forse la bellezza, l’arte, la poesia, la musica salveranno il “TUTTO”?
“L’esperienza può insegnare a camminare sul filo del rasoio e a vivere sempre in pericolo di cadere, ma non si può usare la pazzia con uno scopo.
Il delirio dà alla luce figure, visioni,realtà sommerse. La follia è un capitale enorme, estremamente prolifico, però lo può amministrare solo un poeta”
Alda Merini