#giornatamondialedelteatro

Qualche anno fa, quando eravamo chiusi in casa per la pandemia, pensavo che ci avevano rubato la primavera. Non avrei potuto andare per campi ad ammirare l’evanescente fioritura dei ciliegi e dei peschi. Così come non si poteva andare a teatro e in mille altri luoghi.
D’altronde, la fioritura è cosi breve e spesso ce la perdiamo, presi dal lavoro, dagli impegni o dalla pioggia, che non ci permette di assaporare il momento… il momento.
Al massimo gettiamo uno sguardo veloce agli alberi da frutto, mentre passiamo con la macchina ( e come sarebbe “bello” e utile che nei decori urbani le amministrazioni scegliessero queste piante, tanto utili alle farfalle a alle api!).
L’albero di pesco è un simbolo dell’’estetica giapponese, che va al di là della filosofia e si pine da sempre come uno dei pilastri della spiritualità nipponica.

Si differenzia dall’idea occidentale di perfezione e giovinezza eterna, abbracciando il cambiamento e l’imperfezione
Come afferma Selene Calloni Williams nel suo libro 1 Minuto al Giorno — Meditazioni quotidiane e nelle sue seguitissime dirette giornaliere sui social e come scrive nel suo libro Wabi Sabi (filosofia che celebra la l’imperfezione, la semplicità e l’usura del tempo), la bellezza per l’estetica giapponese è mancanza, vuoto, ma anche e soprattutto evanescenza.
Pensate ai fiori finti o – addirittura – , a quelle rose stabilizzate vendute in una teca di vetro: la loro esistenza è molto più lunga di un fiore nel suo stato naturale, ma mancano di profumo, di morbidezza, di energia, di vita.
Un bocciolo stabilizzato non arriverà mai a compimento, non raggiungerà mai il suo scopo, la sua fragrante bellezza ed il suo appassire: il ciclo della vita.
Se il pesco dovesse aspettare per capire, non fiorirebbe mai.
(Fabrizio Caramagna)
E quando si disperde, come dice la Calloni Williams, sprigiona il suo incantesimo, libera la sua energia, lasciando nostalgia di sé e creando un pathos per la mancanza (mono no aware): dando emozioni, in ogni suo passaggio.
La bellezza è quindi evanescenza ed impermanenza.
Ogni volta che vediamo il sole tramontare, già ne sentiamo la mancanza.
La bellezza che salverà il mondo è simbolo dell’Amore, del darsi, dell’offrirsi.
Qualcosa che nasce e muore e che va vissuto nel breve lasso di tempo del suo essere.

Per questo, il teatro è bellezza: perché si svolge in quel momento, lo viviamo con gli attori in scena, con il loro soffio vitale, la loro energia, la loro fatica, quel loro dare corpo e sangue ad un personaggio che ogni sera nasce nuovo sulla scena e svanisce alla chiusura del sipario.
La percepiamo nel rito del teatro, nel nostro uscire di casa per andare a sederci in platea, la bramiamo curiosi ad ogni alzata di sipario, la sentiamo nel filo sottile che ci unisce agli artisti sul palco, che raccontano una storia con il loto vissuto del momento, nascosto dietro la “masxhera”:
Per questo non si dovrebbero fare le foto a teatro: cosa possono mai conservare di tutto questo delle immagini sul cellulare? Solo l’ombra di qualcosa, come le ombre nel mito della caverna di Platone.
Così come le foto che scattiamo ai fiori di pesco o ai tramonti, che condividiamo con gli amici e sui social, ma che restano su uno schermo e non portano con sé la Bellezza del momento.
Guardiamo il mondo con occhi curiosi, nutriamoci di bellezza, andiamo nei parchi, nei boschi, anche da soli.
E non tralasciamo un risveglio di primavera a Teatro, perché solo lì possiamo esperire una storia con tutti i nostri sensi e con la nostra anima.
Non lasciamo scappare la primavera, fuori e dentro di noi.
Buon risveglio a tutti.