Di LUCIO LEONE

Ci sono personaggi come Rossella, a cui la drammaturgia ha dato tutto, tutto il necessario. La ammiriamo, la detestiamo, ci ha visti appassionati spettatori della sua forza e tenacia, ma a chi importa veramente di cosa le accadrà quando Rhett, con una delle frasi più iconiche della storia del cinema, le sbatte la porta in faccia dicendole che se ne infischia di ciò che farà? E in fondo ce ne infischiamo anche noi (lo riprova lo scarsissimo successo del seguito), perché Rossella, in quelle quasi quattro ore di colosso che è Via col Vento – tralascio per i lettori più impressionabili il numero esatto di pagine del poderoso libro casomai volessero cimentarsi con questo, e sappiatelo: comunque ne varrebbe la pena –, Rossella ormai la conosciamo in tutto e per tutto. Non c’è nulla di interessante da aggiungere.

Non è così per Nora di Casa di bambola, o Leonora, come Ibsen la chiama in una lettera a un amico (mai nel testo dell’opera), a riprova di quanto lui la conoscesse, al punto di sapere che il nome con cui tutti la chiamano è in effetti il nomignolo affettuoso che il padre le aveva affibbiato quando era piccola, primo mattone della casa di bambola in cui avrebbe vissuto fino a quel meraviglioso monologo in cui prende coscienza di sé e si prepara a sbattere la porta di casa, pure lei, in faccia a Torvald. Cosa accadrà a Nora invece ce lo siamo chiesto tutti, perché a differenza di Rossella, che conosciamo “a distanza”, Nora è invece ognuno di noi, in un modo o nell’altro, è anche chi per amore dei figli avrebbe deciso a differenza di lei di restare accanto a una persona per la quale non provava più nulla. La scelta di Nora, o il contrario di essa, ci è vicina. È quella che conosciamo e riconosciamo quando ci viene prospettata in un qualche angolino di vita, è la “strada non presa” di Frost, da cui “ogni differenza è venuta”.

Lunga premessa per arrivare al punto: cosa accade a Nora dopo che questa esce di casa? Be’, esattamente 138 anni dopo la messa in scena dell’originale ce l’ha raccontato nel 2017 Lucas Hnath, in Casa di bambola, parte 2. E ritroviamo quindi la coppia di coniugi Helmer, quindici anni dopo che quella porta fu sbattuta (lo spettacolo inizia proprio con il rumore di qualcuno che bussa), alle prese non solo con i discorsi che per forza di cose non hanno potuto essere fatti (e che vuoi dire a una Nora così lucida, così improvvisamente cosciente che ti fa quel po’ po’ di discorso? Prendi su e balbetti cosette di circostanza… appunto come ha fatto Torvald), ma anche con chi sono diventati in tanti anni di lontananza.

Certo, Casa di bambola originale, al netto di alcuni indubbi meriti letterari, è stato soprattutto uno spettacolo spartiacque. La donna è solo madre e moglie? Oppure è una persona? Quali sono i suoi doveri, o più importante ancora, le sue responsabilità nei confronti della famiglia? L’impatto sociale e culturale dell’opera è stato tale che ci sono stati duelli di alcuni gentiluomini – teste calde – che avendo parteggiato pro o contro la decisione di Nora hanno pensato prima di insultarsi e poi di risolverla così. Più sagge e consapevoli alcune gentildonne, che stampavano sui biglietti di invito alle loro cene, subito sopra la scritta RSVP e al codice di abbigliamento, anche la richiesta che a tavola non si parlasse mai di Casa di bambola per evitare l’impiccio di dover poi far lavare il sangue delle suddette teste calde a duello concluso alle povere fantesche.

La parte 2 non ha certo la pretesa di arrivare a tanto nella storia del Teatro e nel costume, si prefigge piuttosto di fare luce su quello che accade nel tempo alle persone, e di raccontare il cambiamento che consegue a una presa di coscienza, il tutto con estrema precisione, almeno a giudicare dal successo che la critica e il pubblico le hanno decretato a Broadway quando è andata in scena.

Una parte 2 che ora arriva per la prima volta in Italia, grazie alla CDM e a Claudio Zanelli, che ne cura regia e traduzione/adattamento. «Ho visto per la prima volta Casa di bambola, parte 2 quando ero in viaggio di nozze a New York, e mi ha assolutamente conquistato, perché l’ho trovato bellissimo e potente. Abbiamo quindi per anni pensato di portarlo in Italia, e siamo contenti di esserci finalmente riusciti e con una traduzione sostanzialmente fedele, con solo qualche piccolo adattamento per dei giochi di parole intraducibili, ma per il resto, silenzi compresi – che sono scritti, gestiti e numerati come una sorta di contrappunto alle parole, direttamente nel testo e codificati con dei puntini di sospensione al posto della battuta –, tutto è fedele all’ottima scrittura originale».

Una scrittura che ha saputo dare una nuova voce a Nora e Torvald, ma con un linguaggio che, come è specificato nelle note di regia, è lontano dallo stile di Ibsen per avvicinarlo al senso che questi aveva dato ai suoi personaggi, rendendolo quindi più moderno. «Insieme ai silenzi, nel testo si ritrovano anche errori di sintassi e di grammatica, che sono gli stessi che si ritroverebbero nel leggere la trascrizione di un linguaggio parlato. È come se il testo fosse realmente improvvisato dagli attori, scritto dai personaggi/persone e non dall’autore».

Per quanto riguarda infine i personaggi, Zanelli li racconta così: «Nora e Torvald hanno forse la stessa impostazione di base rispetto a come li abbiamo lasciati, ma in realtà sono profondamente diversi. Lei è molto più forte della Nora che abbiamo conosciuto nella sua prima vita, e se lui sembra essere in fondo uguale a se stesso, scopriamo poi che non è davvero così: anche Torvald è andato incontro a profondi cambiamenti». A loro si affiancano la tata dei ragazzi Helmer, Anne Marie, già presente nell’originale, e la figlia Emmy, che all’epoca della separazione dei genitori era molto piccola, e di conseguenza soltanto citata da Ibsen.

In scena, in anteprima assoluta dal 18 al 20 ottobre presso il teatro fACTORy32 di Milano, una coppia di attori che più volte hanno dimostrato anche in Italia come il vero talento in scena possa passare indifferentemente dal musical alla prosa: Alice Mistroni sarà infatti Nora riproponendo un ruolo ricco di sfumature che garantì a Laurie Metcalf (eh sì… la mamma di Sheldon. Bazinga!) il Tony Award come “Best Performance by an Actress in a Leading Role in a Play”, mentre Simone Leonardi regalerà voce e presenza al complicato (umanamente parlando e attorialmente… pure) e non precisamente amabile Torvald. Con loro anche Antonia di Francesco ed Erica Sani, rispettivamente Anne Marie ed Emmy.

Casa di bambola, parte 2

Regia, traduzione e adattamento: Claudio Zanelli

Aiuto regia: Ginevra Ciuni

Produzione esecutiva: Giuseppe Musmarra

Assistenti di produzione: Marta Lacognata, Marco Carnevali

In anteprima nazionale assoluta al Teatro fACTORy32 di Milano, dal 18 al 20 ottobre

Via Giacomo Watt, 32 – Milano

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