ph in pagina di SILVIA AROSIO |
Vorrei poter cominciare questo articolo, dicendo “Massimo
Ranieri va visto dalle nuove generazioni”.
Vorrei, ma sarebbe profondamente sbagliato, perché Ranieri (un
nome da “Re”) è uno di quei pochi, pochissimi, artisti ad essere transgenerazionale.
Il suo pubblico è composto da persone di ogni fascia d’età e questo da sempre.
Da 50 anni e passa.
Forse, sarebbe più giusto dire che Massimo Ranieri andrebbe visto,
dal vivo, da alcuni dei cantanti di oggi: non tutti, per carità, e la performance
televisiva con Tiziano Ferro ne è l’esempio. Ma già Tiziano è di un’altra
categoria.
Andrebbe visto per imparare non solo a cantare (il talento c’è
o non c’è ed è autotune), ma per capire come si stia su un palco e come si
arrivi a festeggiare 50 anni di carriera, grazie alla dedizione, alla passione,
all’amore e soprattutto allo studio, alla maniacale attenzione per i particolari,
dove niente è lasciato al caso, in modo da offrire a quel pubblico che esce di
casa un lunedì sera, per andare a teatro, quello che si merita di vedere: un
grande show.
Certi “artisti” dovrebbero andare a un concerto di Ranieri e
magari, smetterla di fare cantare solo il pubblico alle proprie serate, e stare
a guardare.
Da anni, conosciamo Ranieri: dalle vecchie interviste, come
quelle che feci anche a Maurizio Fabretti, che da sempre si occupa di “Illuminare”
la luce personale di Massimo, sappiamo come l’artista passi delle ore in teatro,
anche a notte fonda, solo per decidere il puntamento di un faro.
La cura e l’attenzione, poi, per la propria voce ed il
proprio fisico, strumento perfetto per trasmettere la propria arte, sono fondamentali:
certamente, la genetica aiuta, perché Massimo Ranieri a 72 anni è un ragazzino,
non molto diverso dallo scugnizzo che era, solo con una ruga che non c’era in
più sul suo volto.
Quel volto che è una maschera, quella dell’Istrione, quella
che di teatro ne ha fatto tanto (da Strehler in
poi, ma non solo) e che ama il suo pubblico più di qualsiasi altra cosa, più di
ogni rapporto sentimentale.
Quell’artista
a cui il teatro dà la giusta dimensione e che procura sold out nelle repliche
in città.
Una parola
che non mi piace e che è tanto in voga oggi, è “performer”: forse, 40 anni fa,
se questo termine fosse stato coniato, Ranieri sarebbe stato etichettato così.
Ma no, ma
no. Massimo Ranieri è un Attore ed è un Attore con una voce straordinaria e
quando canta vive ogni sillaba, ogni nota dei brani che interpreta, facendoli
suoi, e rimandandoli a cascata su una platea che non può che essere abbracciata
da quello che un vero artista può e deve fare: emozionare.
La voce,
calda e piena in ogni nota, anche quelle altissime, è avvolgente; la gestualità
e la mimica fanno il resto.
Ed il nuovo
spettacolo parte non solo da una frase di una delle più celebri canzoni di
Ranieri: parte da una frase di Shakespeare (Guglielmo), “Siamo fatti sella
stessa sostanza dei sogni”.
Il teatro è
esso stesso sogno: il nostro cervello, a livello sottile, non distingue la
realtà dalla fantasia. Pensate di addentare un limone e la vostra bocca produrrà
saliva. Visto? Ho ragione?
Gli ormoni
che secerniamo andando a vedere una tragedia, quella che poi ci porta alla
catarsi, la paura che proviamo davanti ad un horror, che stimola il percorso “attacco
e fuga” nel cervello, sono gli stessi che si attivano con i sogni.
Il Teatro è
il sogno di Massimo Ranieri, che ancora “sogna di non smettere di sognare” e lancia
dal palco messaggi solo apparentemente leggeri, ma che ci rimangono appiccicati
addosso.
Accompagnato
da una straordinaria orchestra dal vivo, sul palco di questo nuovo show vediamo
un artista con maggiore consapevolezza, ma anche con una grande leggerezza, che
sorride, scherza, narra, affabula, ride e fa ridere, con quella classe che
pochi hanno, senza dimenticare le origini partenopee e con un occhio ai
classici, quelli veri.
Se gran
parte dei brani sono nuovi ed ancora poco conosciuti (ma credetemi, basta
qualche ascolto per amarli), Ranieri offre anche tutto quello che ci aspettiamo:
da Rose Rosse a Vent’anni, passando per Erba di casa mia e Quando l’amore
diventa poesia, ci sono i più grandi successi.
Personalmente,
ho sentito la mancanza dell’Istrione e di La Voce del Silenzio, oltre che di un
brano che non fa mai dal vivo, che è lo straordinario “Il canto libero del mare”:
ma non fate caso a me, io sono una sognatrice.
Tutto il
resto c’era ed era offerto su un vassoio dorato di arrangiamenti originali, così
come ce li aspettiamo, senza troppi stravolgimenti, solo con una voce che è
assolutamente più bella dei tempi di Gianni Rock ( e poi, Giovanni, Se Bruciasse
la città è un brano assolutamente rock!).
C’erano
anche tutti gli artisti che hanno collaborato con lui, nelle canzoni, persino
Bruno Lauzi, con lo straordinario brano “La mia mano a farfalla”, delicatissimo
affresco del Parkinson.
Uno spettacolo
straordinario, un’occasione per riscoprire, come dico da anni, quanto il teatro
possa “fare bene”. Vivere serate come questa, insieme a 1500 persone, che hanno
ritrovato la voglia di uscire di casa e partecipare al rito collettivo della
musica dal vivo, è farci del bene.
Anche
Ranieri sogna che le persone vadano a teatro, invece che solo allo stadio. Un
sogno che condivido in pieno e se state leggendo questo quotidiano online,
forse lo condividete anche voi.
E poi,
Massimo Ranieri, l’alter ego del più pigro Giovanni Calone (ma ci crediamo?), è
un monumento nazionale, ce lo abbiamo solo noi. Da italiani, come fate a non andarlo
a vedere?
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