La verità comincia con una bugia.
E dove sta la verità? Dove la finzione? Il grande dilemma che è la base del teatro, l’essere o non essere, la follia, la ragione, le maschere ed i ruoli, tutto in un piccolo, delizioso, intenso spettacolo off, Processo a Pinocchio, vincitore dell’Oscar italiano del musical 2015 per le musiche originali di Marco Spatuzzi e candidato finalista come miglior musical off.
Ma, per favore, non chiamatelo musical, perché Processo a Pinocchio, che in locandina recita “Psico commedia noir a carattere musicale”, è musical, ma non solo.
La coppia artistica Andrea Palotto, che scrive e dirige lo spettacolo, e Marco Spatuzzi, che ha scritto delle musiche originalissime ed orecchiabili, ci ha già abituato a piccoli gioielli off, tutti italiani, dove la prosa, il testo e soprattutto i sottotesti, sono più indicati per spettacoli off che per pachi da lustrini e pailettes.
Se L’Ultima Strega era un po’ più musical, qui meno danza e tanta, tanta intensità. Per chi avesse visto il precedente spettacolo targato Palotto/Spatuzzi, divertitevi a trovare alcune autocitazioni, marchi di fabbrica, camei di hitchcockiana memoria. D’altronde, le coincidenze sono il nome d’arte di Dio quando non vuole firmare.
C’è tutto, in questo testo: da Freud con i suoi complessi ed il suo far risalire quasi tutto al sesso ed al periodo fallico, Pirandello con 6 personaggi che hanno un autore (ma sono reali o è Tutto qui?), la commedia dell’arte e la favola di Pinocchio.
Certamente questo non è uno spettacolo per bambini. Se Collodi ha dato vita al più grande romanzo di formazione della letteratura, qui la favola è disgregata, analizzata, rotta, distribuita in personaggi reali, che ne prendono solo lievi caratteristiche.
Più che un Processo, Pino(cchio) è metaforicamente sdraiato sul lettino di un analista, incarna in sé le nevrosi di altri, è il burattino capro espiatorio/vittima e carnefice, attorno al quale, come particelle, ruotano tutti gli altri suoi satelliti.
E se Palotto ha scritto un testo così denso, si destreggia nella regia con una mano precisa, pulita, rendendo tutto leggero, surreale, a tratti divertente, per un’ora e mezza di spettacolo di grandissimo ritmo ed energia, senza cedimenti, supportato anche da un cast di attori straordinari, padroni di sé e del proprio potenziale.
Ognuno con il suo vissuto, diventano personaggi simbolo portatori di dipendenze, più o meno gravi.
Così, Processo a Pinocchio diventa una “famiglia di bugiardini”, dove gli attori si alternano secondo le date e gli impegni: nelle date di Milano, abbiamo trovato nomi che vengono spesso alternati ad altri, fermo restando il Pino di Cristian Ruiz.
Ruiz non sbaglia un colpo: credo sia uno tra i performer (non l’unico, fortunatamente, ma non è sempre così) italiani con la più grande intensità di interpretazione, dono della voce, non solo nel canto, ma anche nella parola, intensità dello sguardo, pulizia dei gesti. Il suo Pino(cchio) ingenuo, pulito, vittima, ritrovato con in mano un martelletto da battitore, arma del delitto, sarà davvero il carnefice efferato di cui si parla? Fino all’ultimo, non riusciamo a prendere una parte.
Accanto a lui, lo psicoterapeuta, un po’ Padre, un po’ Grillo/coscienza, Luca Giacomelli Ferrarini ribalta i suoi ruoli folli, per essere un compassato, presente, didascalico analista, con il polso della situazione (ma sempre?) e stupisce per la sua capacità di mutare pelle.
Straordinario Brian Boccuni, che gioca a fare l’omosessuale con il vizio del gioco, si muove, vanta, e recita, con grande scioltezza, ama a suo modo Pinocchio, insieme a tre donne mervigliose che rappresentano tre tipologie diverse d’amore: la mamma iperprotettiva e borghese, forse fonte principale delle nevrosi filiali, Debora Boccuni, la moglie piena di tic Nadia Straccia, e l’amante cleptomane e ninfomane, interpretata da Elena Nieri.
Il tutto condito ed accompagnato dal vivo al pianoforte dal “Mastro” Federico Zylka.
Su uno sfondo minimalista nero, accompagnato dai colori dei puff/particelle, estensione dei personaggi stessi, davanti a noi si dipana dunque una storia dissacrante, che tiene incollati gli spettatori alle poltrone, titillati da grandissima tensione noir e canzoni piacevolissime.
Evviva il teatro off, evviva gli spettacoli originali, evviva le canzoni nate in italiano, i piccoli teatri e le serate dove “si pensa”.
Perché il musical è, anche, questo. Ve lo dice chi ama, anche, i grandi spettacoli dei grandi teatri.
Ops… “Musical”… Psico commedia noir a carattere musicale.
Andate a vederlo e lasciate i bambini ai nonni, che, chissà, potranno fare addormentare i nipoti con la favola di Pinocchio. L’altra.
DOPO LE DATE MILANESI AL TEATRO BLU, LO SPETTACOLO RIPRENDERA’ A MAGGIO.
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INTERVISTA A LUCA GIACOMELLI FERRARINI (DI LUCIO LEONE)