Sale la luna e va, vola la nostalgia…voci lontane risuonano qui, tornano a vivere ancora…
…Prendete una vecchia pellicola del 1961. Soffiateci via la polvere e puntateci contro un riflettore teatrale…
La polvere diventa iridescente, i granelli si illuminano, prendono vita e si uniscono in forme.

Un’operazione che pare pretenziosa ed azzardata.
Andare a toccare un film che, seppure non famosissimo, vedeva un cast formato da attori come Eduardo De Filippo, Tino Buazzelli, Sandra Milo, Vittorio Gassman e Marcello Mastroianni (diretto da Antonio Pietrangeli e sceneggiato da Ennio Flaiano, Ettore Scola, Ruggero Maccari e Sergio Amidei) sembra davvero sfrontato: e trasformarlo in musical, oggi, in Italia, con i problemi economici che tutti sappiamo , potrebbe essere un passo troppo lungo.

(tutte le foto sono di Virgilia Bettoja)

Ma siamo italiani, non ci abbattiamo, anzi. Forti del nostro passato, che solo può darci gli strumenti per analizzare il presente ed il futuro, decidiamo di fare di necessità virtù, diventiamo imprenditori di noi stessi e rischiamo buttandoci in qualcosa di nuovo che affonda le radici nell’humus della tradizione.
E Simona Patitucci lo ha fatto.

Simona ha creduto così tanto in questa operazione che ha voluto accanto a amici tra i migliori performer e creativi dello spettacolo italiano e insieme hanno messo in piedi questa favola (in musica), presentata, dopo un’anteprima in piazza San Silvestro a Roma, in una sobria forma semi scenica, con poche coreografie e pochi fronzoli, ma nella totalità dei suoi brani, il 17 gennaio, nella Aula Magna della Sapienza.
Come per la storia di Mamma Mia!, la Patitucci ama dire che questo spettacolo ha tre papà: regia e coreografie di Fabrizio Angelini, testo e liriche di Gianfranco Vergoni e musiche originali di Massimo Sigillò Massara.
Rispetto alla presentazione del 30 giugno, stavolta abbiamo visto tutto lo spettacolo, senza grandi scenografie, ma con la potenza della storia e della musica.
Qualche mobile e pochi oggetti scenici d’epoca (a cura da Gabriele Moreschi), luci di Luca Maneli e splendidi costumi di Maria Sabato hanno contribuito a creare la mise en scène, forte anche dell’ottima Palermo Art Ensemble (fondata da Giovanni Apprendi), disposta sul palco, a suonare dal vivo.

Nella magia del teatro, sulla moderna sala della Sapienza, è calato come un sipario di voile, una patina d’altri tempi, atmosfere retrò, polverose, oniriche: pareva quasi di sentire l’aroma di vecchi libri, lo scricchiolio di gradini di legno tarlati, l’odore di tappeti spelacchiati, di antichi palazzi romani, dove la vita restava fuori, in quei folli e speranzosi anni ’60, ma era anche nostalgicamente all’interno, in cui un nobile in miseria, un Roviano, ultimo baluardo di un tempo che fu, si circondava di ricordi ed intangibili presenze…
Atmosfera perfettamente ricreata dai testi (essendo nati con la musica, sono assolutamente ben incastrati, anche a livello di metrica) e dalla splendida recitazione (la mano di Vergoni ed Angelini, ormai due grandi del musical italiano, si nota sempre) davvero molto curata, con omaggi metateatrali, sia nelle liriche che nel recitato: daidebosciatiartisti che mangiano a tarda ora, alla citazione della preparazione del caffè (Questi Fantasmi, Edoardo De Filippo), fino al brano Figlio d’Arte, interpretato da Andrea CrociFederico.
O come lo spettacolo che, teatro nel teatro, inizia nella storia quando la commedia finisce.
Perchè ognuno di noi ha un ruolo nella vita ed alcuni sono condannati ad interpretarlo in eterno.
Parti recitate ottime per tutto il cast, in primis il grandissimo Carlo Reali, attore di gran razza, un cavallo vincente che ha voluto rivestire il ruolo di Annibale con la classe di cui è capace.


Brani firmati Massimo Sigillò Massara molto diversi da quelli mitteleuropei del precedente Boccadoro, il Musical: qui è la nostra tradizione a farla da padrone, da Garinei e Giovannini, passando per la musica tradizionale romana, dove la romanità si sente sia nel sarcasmo di Cristian Ruiz dongiovanni (Reginaldo), che nel Pancia mia Fatti Capanna di Frà Bartolomeo, interpretato da Toni Fornari, dove ci troviamo catapultati nella classica osteria con le tovaglia a quadri rossi da Società dei Magnaccioni.


Come dicevo, straordinari protagonisti, dai primi che abbiamo visto in giugno, ai nuovi arrivati, che si sono amalgamati bene al gruppo.
Regina incontrastata del palco, Simona Patitucci: un po’ Gabriella Ferri, un po’ Anna Magnani, un po’ una qualsiasibarbonade Roma, con una storia alle spalle ed un grande core. Chi è? Chi è stata? Chi sarà? Una figura a metà tra il di qua e l’al di là, una maschera, un deus ex machina, un tramite perfino tra noi pubblico e la storia sul palco, narratrice con grancassa e gran classe, derivata da un talento naturale e anni di palco. Solo Simona poteva dare vita ad un personaggio così bello e forte.
Principessa alla corte di Regina, l’eterea e delicata Renata Fusco Donna Flora, personaggio troppo sensibile e, per questo, sofferente: una sensibilità che copre a tal punto la sue leggerezza e la sua svagatezza, rendendola introspettiva ed intelligente. Il suo brano molto forte, Finalmente via, con un significato che va nel profondo, come nelle acque del Tevere, ha ammutolito la platea, rapita dai vocalizzi, di tonalità incredibili, della nostra ex Christine Daè.

La classe, la sfrontatezza, il sarcasmo di Reginaldo è proposto in maniera impeccabile da Cristian Ruiz, che personalmente conoscevo più come ballerino, ma che ha dimostrato di essere un performer straordinariamente completo.
In coppia (comica) con il suo contraltare Frà Bartolomeo, dedito ai piaceri di (altre) carni, quelle della buona cucina, un perfetto Toni Fornari, i due sono affiancati dalla goliardia stavolta toscana di Marco Gandolfi Vannini, Il Caparra, che citando Sgarbi, della Capra a chi non riconosce il suo tocco, e dalla tormentata maturazione in scena dell’inizialmente cinico Andrea Croci, Federico.
Applausi scroscianti per uno dei pezzi più divertenti dello spettacolo, Mazzette, capeggiato dal bravissimo Giancarlo Teodori, nel ruolo dell’Ing. Tartina, e risate anche per il pezzo straordinariamente ironico sulla poca cultura femminile dell’epoca, Carletta con la t, interpretato da Gaia Bellunato, per passare ad una sorta di burlesuqe efficacissimo, interpretato da Elisa Marangon, fidanzata interessata di Federico Roviano.
Chiudono il cast Carlotta Maria Rondana, la critica d’arte Egle Bizantini in Carcassonn) e i due straordinari stagnari, Gianluca Bessi e Marco Rea.
Il formidabile cast è stato affiancato in questa occasione dai ragazzi della Compagnia dell’Alba(Gabriele de Guglielmo, Leonardo Antonelli, Giorgia Bellomo, Gaetano Cespa, Carolina Ciampoli, Valentina Di Deo, Monja Marrone e Andrea Nardone), che hanno arricchito la mise en scène.
E questo è tutto. O meglio, non lo è, perchè Fantasmi a Roma non finirà qui.
Come nella più classica opera di Pirandello ribaltata, gli autori e i personaggi ci sono, ma manca un teatro: i Fantasmi sono alla ricerca di una casa dove installarsi semi permanentemente. Ovviamente a Roma.

Come nello spettacolo, quando il palazzo rischia di essere abbattuto, i fantasmi svaporano senza casa e senza cose a cui attaccarsi.
Dopo la presentazione del 17 gennaio, l’interesse per quest’opera è davvero straordinario e tutta l’operazione lo merita, per i motivi che vi ho descritto.
Speriamo davvero che Fantasmi a Roma possa trovare un produttore coraggioso (la serata del 17 è stata prodotta con grande impegno da Nota Preziosa di Massimo Sigillo’ e Lucina Lanzara e non ha previstosbigliettamento) e credo che, se davvero siamoitalianinel senso più tradizionale del termine, al più presto questa deliziosa commedia musicale vedrà nuovamente vita, sotto un riflettore teatrale. E non tornerà polvere.