Si unisce alla Seconda Edizione della stagione teatrale del Teatro Romano di Ostia Antica un grande artista di rilievo internazionale: Massimo Ranieri che dopo il debutto 17 al 20 luglio per l’Estate Teatrale Veronese chiude la stagione di Ostia Antica il 7 agosto con lo spettacolo “Riccardo III”, con musiche originali di Ennio Morricone, traduzione e adattamento di Masolino d’Amico. L’inaugurazione della manifestazione sarà il 4 luglio alle ore 21.15 con lo spettacolo “Secondo Ponzio Pilato” con Antonello Avallone, che firma anche la regia.

Forte quest’anno l’esigenza di programmare nel Teatro Romano di Ostia Antica esclusivamente spettacoli classici che abbiano una comprovata valenza artistica e culturale per restituire uno spazio “classico” alla sua naturale vocazione.

Al tramonto l’area del Teatro si riempie di ombre e di suggestioni magiche che aiutano lo spettatore a compiere uno straordinario viaggio nel tempo, accompagnato da artisti di altissimo livello. Quest’anno il cartellone ospiterà spettacoli come “L’Oracolo di Delfi” e il “Caligola” firmato Aurelio Gatti, le bravissime Manuela Mandracchia e Alvia Reale reciteranno insieme ne “Le Troiane”, Edoardo Siravo ne “Il Miles Gloriosus” e ne “Le Farse plautine” accanto a Vanessa Gravina e ancora da non perdere “La Pace”, “Ulularia” e “Le Rane”.

L’intento della Direzione Artistica di Pietro Longhi, che da anni opera con impegno nel panorama teatrale romano (Teatro Manzoni, Teatro Italia, Teatro Roma), in accordo con la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, è quello di consentire al pubblico di apprezzare interamente lo splendore di questo spazio unico al mondo attraverso la fruizione di opere e di messe in scena consone all’incanto del luogo. Il programma di quest’anno sarà quindi composto da una serie di eventi culturali classici e di performances di danza di livello internazionale.

TEATRO ROMANO OSTIA ANTICA

STAGIONE ESTIVA 2013

4-5 LUGLIO

ANTONELLO AVALLONE

SECONDO PONZIO PILATO

di Luigi Magni

Regia Antonello Avallone

Il testo rilegge un capitolo di storia sacra puntando sul probabile sconcerto provocato nel governatore romano della Giudea dalla resurrezione di Cristo. Il Ponzio Pilato di Magni è il portavoce di uno scetticismo laico che, dinanzi ai miracoli, altri definirebbero buonsenso: soltanto sul finire si addossa tutta la responsabilità di aver mandato a morte Cristo e chiede a Tiberio, che lo accontenta, di essere decapitato affinché la colpa della crocifissione non ricada sugli ebrei. Dopo la condanna, Gesù di Nazareth viene crocifisso sul Calvario. Un tarlo però comincia a rodere la coscienza del Governatore delle Giudea Ponzio Pilato, poiché quell’uomo poteva davvero essere innocente della accuse rivoltegli. Quando il fido centurione Valeriano gli fa sapere che il sepolcro è vuoto, che Giuseppe di Arimatea (messo sotto chiave dai sospettosi sacerdoti del Sinedrio) è inesplicabilmente evaso e che lo stesso Gesù è stato visto da molta gente addirittura ascendere al cielo, il tarlo diventa rovello e la curiosità inquietudine. Mentre qualche soldato comincia a disertare, e la moglie Claudia e Valeriano partono per la Galilea dove Gesù è stato visto, affascinati dal Messia in cui ormai credono, Ponzio Pilato si trova assillato da un problema: pur scettico e pragmatico com’è, il mistero di quel morto che sfugge alla tomba, cammina, parla e va nel suo Regno finisce con il dominare la sua esistenza.

Visitando il re Erode Antipa, lo trova nella sua piccola corte, preoccupato ed impaurito a sua volta. Convintosi, infine, che la morte del Cristo è colpa sua, mentre il popolo ebreo deve esserne scagionato anche per le generazioni che verranno, Pilato si reca a Roma. Alla presenza dell’imperatore Tiberio, il cui volto è deturpato dalla lebbra, Pilato vi applica il sudario: il volto di Cesare è risanato. Eppure Pilato chiede a quest’ultimo di essere decapitato. La crocifissione di Gesù di Nazareth, di quell’innocente, è stato un errore tragico, le cui conseguenze non possono ricadere che su colui che l’ha decretata. Solo con la morte Pilato potrà porre fine al suo dubbio, ormai devastante fino alla follia.

6 LUGLIO

M.D.A. Produzioni

ERNESTO LAM – MIRIAM PALMA – SEBASTIANO TRINGALI

ORACOLO DI DELFI

da Plutarco, Sofocle, Euripide

Regia e Coreografia Aurelio Gatti

Tu‚ Pannychis‚ vaticinasti con fantasia‚ capriccio‚ arroganza‚ addirittura con insolenza irriguardosa‚ insomma: con arguzia blasfema. Io invece commissionai i miei oracoli con fredda premeditazione‚ con logica ineccepibile‚ insomma: con razionalità. Ebbene devo ammettere che il tuo oracolo ha fatto centro.[…] Il tuo improbabilissimo responso si è avverato‚ mentre sono finiti in niente i miei responsi così probabili e dati ragionevolmente con l’intento di far politica‚ e cambiare il mondo‚ e renderlo più ragionevole… Le profezie erano rese dalla sacerdotessa del culto di Apollo‚ la Pitia o Pizia‚ che durante le sue funzioni di officiante di Apollo era solita sedere su di un tripode‚ il simbolo del Dio. Tributari del tempio erano uomini di ogni classe …. La domanda da porre al Dio per bocca della Pizia era affidata ad un sacerdote del tempio‚ il quale la consegnava alla sacerdotessa. L’attesa della risposta di Apollo era scandita da un rituale‚ la sacerdotessa sedeva sul tavolo a tre gambe in attesa dell’ispirazione divina‚ quindi pronunciava la profezia. Cadeva in una sorta di trance ipnotica e solo in quel particolare stato di semicoscienza donava le sue predizioni. Una volta ottenuta la risposta‚ che in genere aveva un significato ambiguo e difficilmente interpretabile in modo univoco‚ la Pizia comunicava il messaggio ad un altro sacerdote che a sua volta lo trascriveva e lo consegnava a chi aveva posto la domanda. Pizia non dà risposte ma è creatrice del dubbio. Del resto‚ non dovremmo mai smettere di interrogarci ed interrogare gli altri. Peccato che spesso gli uomini rifuggano dal dubbio e non coltivino la loro capacità di raziocinio ma‚ “per amore del quieto vivere”‚ preferiscano accettare acriticamente tesi precostituite e addirittura – triste verità – “inventarsi le teorie più assurde per sentirsi in perfetta sintonia con i loro oppressori”. E la Pizia è interprete prima della týche‚ il caso‚ ciò che sfugge alla previsione dell’uomo e determina‚ al di là della volontà e della coscienza dei protagonisti‚ il gioco capriccioso degli eventi. La sacerdotessa ricorre con frequenza agli equivoci‚ agli intrighi‚ ai riconoscimenti‚ fino all’apparizione finale del “deus ex machina”.

10 LUGLIO

M.D.A. Produzioni – ACCADEMIA PERDUTA

VALENTINA CAPONE – CINZIA MACCAGNANO – SEBASTIANO TRINGALI

CALIGOLA

da Svetonio e Albert Camus

Regia e Coreografia Aurelio Gatti 

“Ma non sono pazzo e posso dire perfino di non essere mai stato così ragionevole come ora. Semplicemente mi sono sentito all’improvviso un bisogno di impossibile. Le cose così come sono non mi sembrano soddisfacenti. […] è vero‚ ma non lo sapevo prima. Adesso lo so. Questo mondo così com’è fatto non è sopportabile. Ho bisogno della luna‚ o della felicità o dell’immortalità‚ di qualcosa che sia demente forse‚ ma che non sia di questo mondo.”

Testo incentrato sul delirio del potere‚ Caligola fu rappresentato per la prima volta a Parigi nel 1945. Camus lavorò a questo testo nel corso di vent’anni – dal 1937 fino alla versione “definitiva” pubblicata nel 1958. La rielaborazione fu profonda: le tre stesure definitive presentano rilevanti differenze. Nella versione del 1941 acquistano rilievo i personaggi dello schiavo Elicone e del letterato Cherea‚ filosofo materialista che fa da antagonista allo stesso imperatore. L’opera inizia con la scomparsa di Caligola in seguito alla morte della sorella/amante Drusilla‚ un personaggio chiave sul quale gravita la “trasformazione” dell’imperatore‚ che viene descritto dai senatori come un principe ideale: un condottiero‚ generoso e amato dal popolo‚ ma con un difetto‚ amava troppo la letteratura. La narrazione di Camus è molto veloce come la trasformazione dell’imperatore… Caligola è in preda alla pazzia ma con i suoi comportamenti influenza e mette nella condizione di interrogarsi : costringe a pensare ‚ mette in pericolo la normalità‚… il dramma di Camus si conclude con il discorso in cui Caligola comprende che la felicità è irraggiungibile ma anche il dolore non ha senso perché nulla dura a lungo. In questa sintesi la libertà, perché non sia più soggetta ai ricordi o alle illusioni‚ ma anche la consapevolezza del “vuoto” : Caligola si rende conto di essere vuoto‚ non possiede niente‚ nemmeno la paura della morte dura molto e ciò che gli resta‚ come dice egli stesso‚ è solo “un grande buco vuoto nel quale si agitano le ombre delle mie passioni”.

13 LUGLIO

COMPAGNIA CASTALIA

LA PACE

di Aristofane

Regia Vincenzo Zingaro

Scritta nel 421 a. C., durante la guerra del Peloponneso, l’interminabile conflitto fra Sparta e Atene, “LA PACE” contiene fortissimi spunti di riflessione che la rendono estremamente aderente alla realtà precaria del nostro tempo. Aristofane, con estrema leggerezza, alternando momenti di esilarante comicità ad altri di toccante lirismo, ci offre con una coscienza straordinariamente moderna l’invito a un’importante riflessione sul delicato tema della guerra e dell’affannosa ricerca della pace fra i popoli. La rappresentazione, di notevole impatto, è molto coinvolgente, divertente e suggestiva, grazie anche alle splendide maschere create dal celebre Studio Carboni e restituisce lo spirito più genuino della commedia attica antica, la prima forma di commedia del teatro occidentale. 

20 LUGLIO

MANUELA MANDRACCHIA – ALVIA REALE – SANDRA TOFFOLATTI MARIARIANGELES TORRES

LE TROIANE

da Euripide e Seneca

Regia Mitipretese

La scena è spoglia, scandita da ciò che resta dopo la guerra. Un cumulo di vecchie valige, un tavolo divelto, sedie spaiate seminate attorno, resti di detriti e utensili, in fondo un muro coperto da vecchi drappi di tela. Una donna percorre la platea, smarrita, confusa. Si agita, e altre due la raggiungono a calmarla. E’ la fine della guerra e presto le donne rimaste saranno spartite dai vincitori. Poi le tre superstiti abbandonano il pubblico sotto il richiamo di una sirena, come se ancora qualcosa dovesse colpirle, come se ancora ci fosse qualcosa da cui potersi difendere. Le donne raggiungono il muro e tolgono i drappi. Ecco, su quel muro appaiono i volti di tutti quelli che la loro guerra ha ingoiato. E’ l’inizio della tragedia. Ecuba, Andromaca e Cassandra di lì a poco entreranno in contatto con Elena, colei che è stata la causa di ogni loro male.L’attesa per le loro sorti le porterà attraverso la loro memoria a gettare uno sguardo verso il tempo a venire, un tempo privo di senso, distante da ogni legame con il mondo che fino ad allora avevano conosciuto. In quest’attesa ognuna delle quattro cercherà di trovare il modo di sopravvivere, portando via con sé, nella propria valigia ciò che gli consentirà di farlo. Per Cassandra sarà la vendetta, per Andromaca l’amore per il proprio figlio, per Elena la bellezza, e per Ecuba la memoria di ciò che è stato, di quello che ora è, e di cosa sarebbe potuto essere.

25 LUGLIO

VANESSA GRAVINA – EDOARDO SIRAVO

LE FARSE PLAUTINE

di Plauto

Regia Luca Cairati

Artisti girovaghi che nel teatro non credono più. Un carretto che li ha portati in giro per il mondo. Cosa può far di nuovo nascere la scintilla in questi attori disillusi?

La risposta sta nel pubblico, che, come una magia, riinnesca la fantasia di questa troupe di attori, i quali terranno gli spettatori incollati alle loro sedie ripercorrendo tutto il loro repertorio comico: da Aristofane a Plauto, da Molière a Beckett, passando per Shakespeare, fino all’improvvisazione dei comici della Commedia dell’Arte. E il carretto, che pareva inerte, aprendosi si trasforma nel palcoscenico ideale per questa ultima rappresentazione che fonde finalmente il teatro moderno con quello classico. Scene acrobatiche di scale impazzite, grottesche corse di cavalli, duelli, maschere, travestimenti, improbabili e comicissime scene d’amore, equivoci. Farse Plautine è una commedia che spazia in ogni direzione: dagli stereotipi classici della Commedia all’Italiana ai personaggi intramontabili della drammaturgia moderna. I protagonisti decidono di far rivivere la Commedia dell’Arte, ritrovandola in tutte le commedie e le tragedie occidentali più famose, affermando una volta ancora che questa Grande Tradizione Italiana è più che mai viva e presente. Il pubblico è chiamato a giocare e a divertirsi con gli attori che regalano momenti di ilarità grazie alla loro capacità di passare con disinvoltura dall’Arte della Commedia all’Italiana alla clownerie. Le più famose scene del teatro classico drammatico, una volta separate dal contesto e messe in scena nella loro semplicità diventano altrettanto comiche ed esilaranti.

27 LUGLIO

LA BOTTEGA DEL PANE

LUNA MARONGIU – CINZIA MACCAGNANO – CRISTINA PUTIGNANO

LE RANE

da Aristofane

Regia Cinzia Maccagnano

“Le Rane” sono una parodia della decadenza politica e culturale dell’Atene del 405 a.c., ma soprattutto una riflessione sul teatro e sulla vita morale e sociale, all’indomani della morte di Euripide e Sofocle, ultime guide intellettuali della polis. Protagonista è Dioniso, il dio del teatro, ma che qui non è più il seducente straniero delle baccanti, bensì un patetico personaggio in cerca d’autore, un attore senza ruolo al quale avanzano battute tragiche che, fuori contesto, risultano penose e grottesche. Il ridicolo Dioniso, con un imbarazzante travestimento da Ercole, intraprende il viaggio nell’oltretomba in cerca dell’autore che possa ridargli dignità, e con lui anche al teatro e quindi alla società, a cui solo il teatro può e deve insegnare la virtù. Con lui il servo fidato Xantia, una sorta di Sancho Panza, ma pronto e astuto. Inizia così la catabasi verso gl’inferi, dove non possono mancare gli incontri con Caronte, Plutone e molti altri personaggi, i quali sono la copia conforme di una umanità bassa e volgare che abita il mondo terreno. Parentesi poetica è il coro di rane della palude infernale che sbeffeggia Dioniso, ma non rinuncia a cantare cignescamente intraducibili versi poetici, unico conforto dell’anima. Il viaggio si conclude con il tanto atteso incontro con Euripide ed Eschilo, intenti a litigare per stabilire chi dei due sia il più grande poeta tragico. Euripide accusa Eschilo di ridondanza e di poca chiarezza, ed Eschilo rimprovera Euripide di aver corrotto gli ateniesi con i suoi esempi immorali insegnando loro a tradire, uccidere ed evitare i doveri. Aristofane contrappone così la poesia brillante, figlia della sofistica, di Euripide e la magniloquenza di Eschilo, a volte oscura, ma di grande valore etico. alla fine dioniso, giudice dell’agone, sceglie di riportare in vita Eschilo, come per dire che per una società oramai al tramonto, incosciente della propria volgarità, è meglio riportare alla memoria buoni esempi di valori e di vivere civile, piuttosto che sperare in una capacità di autocoscienza di fronte ad esempi di corruzione e degrado. Le rane, pur con una vena comica festosa, di ispirazione lirica, parla con una tristezza sconsolata di un vuoto culturale. Dioniso ha perduto il fascino della sua doppiezza, del suo oscillare tra bene e male, del suo dire e non dire, del suo nascondere per mostrare, ovvero ha perduto l’arte del teatro, di cui è rimasta solo la parvenza farsesca e deprimente. Eppure il teatro non perde mai la sua funzione e infatti mostra la sua stessa desolante condizione per indicare la miseria in cui è stato ridotto e insieme ricordare il proprio valore, scuotendo la coscienza di cui è esso stesso genitore.

3 AGOSTO

TEATRO ANTICO TINDARI

EDOARDO SIRAVO – ANTONIO SILVIA – MARCO SIMEONI

RENATO CAMPESE

MILES GLORIOSUS

di Plauto

Regia Alvaro Piccardi

Il tema della farsa, una situation comedy di duemila anni fa, che brilla nella nuova tradu- zione di Michele Di Martino e si avvale della regia di Beppe Arena (impegnato da anni nella proposta di testi classici latini nonché direttore artistico del Plautus Festival di Sarsina), è arcinoto ai cultori della commedia antica: Il giovane Pleusicle ama la bella Filocomasio. Durante un’assenza del giovane, la ragazza viene rapita dal “miles” Pirgopolinice, un soldato smargiasso e fanfarone, a cui il parassita Artotrogo fa credere di essere irresistibile con le donne. Palestrione, servo di Pleusicle, parte per avvertire il padrone di ciò che è accaduto, ma viene rapito dai pirati e finisce per essere donato proprio al miles. Pleusicle, avvertito di nascosto da Palestrione, si fa ospitare da Pericleptomeno, un amico del padre, in una casa contigua a quella stessa del miles. Palestrione pratica una breccia nel muro di confine tra le due case, consentendo agli amanti di incontrarsi. Ma Sceledro, servo del miles, li scorge mentre si baciano, e costringe Palestrione a escogitare una serie di inganni per salvare i due amanti, fingendo che esista una gemella di Filocomasio. Palestrione, poi, organizza una feroce beffa ai danni di Pirgopolinice: gli fa credere che la moglie di Periplectomeno sia pazzamente innamorata di lui; il miles, così, licenzia in un sol colpo Filocomasio e Palestrione, dando loro la libertà, ma – entrato nella casa di Periplectomeno per un appuntamento galante – trova un marito furibondo e i servi pronti a fustigarlo ignominiosamente come adultero. Commedia dalla comicità sfrenata, il Miles Gloriosus è considerata l’antecedente di tutti i “Capitan Spaventa”, “Fracassa”, ecc. che animeranno la Commedia dell’arte e il teatro del Rinascimento.

5 AGOSTO

TEATRO EUROPEO PLAUTINO DI SARSINA

CAMILLO GRASSI – MASSIMO BONCOMPAGNI

AULULARIA

di Plauto

Regia Cristiano Roccamo

Ad Atene vivono due vecchi, Euclione e Megadoro.

Un giorno il vecchio Euclione trova una pentola d’oro dalla quale non riesce più a separarsi per il timore che qualcuno gliela sottragga all’ improvviso. Ed è proprio in uno di questi giorni che il vecchio e ricco Medoro si decide a chiedere in sposa la figlia di Euclione, Fedria. I due vecchi si accordano immediatamente per celebrare il matrimonio il giorno stesso. A questo punto entra in scena Strobilo, il servo del nipote di Megadoro, Liconide, giovane che è segretamente innamorato di Fedria all’ insaputa dello zio. Infatti Euclione, timoroso che la manovalanza giunta per i preparativi possa sottrargli la pentola, si decide a nascondere il prezioso oggetto prima nel tempio della città e poi nel bosco, dove Strobilo lo seguirà per derubarlo. Liconide si reca allora dal vecchio Euclione per chiedere in sposa la figlia (che nel frattempo sta per diventare madre proprio a causa del giovane), e dopo un divertente siparietto frutto dell’equivoco, l’anziano genitore concederà la mano della figlia al giovane. Intanto il servo Strobilo tenterà di vendere la pentola proprio al suo padrone in cambio della libertà, ma questi gli ordinerà di rendere la pentola al suo legittimo proprietario. E sarà proprio questo gesto ad addolcire le intemperanze di Euclione che non solo acconsentirà al matrimonio ma che donerà inoltre la preziosa pentola come dote della figlia Fedria.

“Aulularia” è una delle commedie che più ha influenzato il teatro seicentesco ma anche il cinema moderno. Vero è che “L’Avaro” di Molière è di fatto quasi una copia autentica dell’opera di Plauto e che a rifarsi all’ “Aulularia” è anche il film di Totò “47 morto che parla” al Paperon de’ Paperoni di Topolino della Walt Disney.

7 AGOSTO

EVENTO SPECIALE DI CHIUSURA

MASSIMO RANIERI

RICCARDO III

Regia Massimo Ranieri

Musiche Ennio Morricone

Traduzione Masolino D’Amico

La storia la scrivono i vincitori, e così Shakespeare quando nel suo progetto di raccontare due secoli di storia inglese attraverso il regno di una scissione di sovrani (Riccardo II, Enrico IV, Enrico V, Enrico VI, Riccardo III) arrivò all’ultimo esponente della dinastia dei Plantageneti, descrisse l’ultimo di loro secondo l’ottica della nuova casa regnante, quella dei Tudor, i cui titoli alla successione non erano proprio inossidabili. Che il trono dell’isola fosse a disposizione del più forte e spregiudicato tra molti pretendenti era prassi consolidata: e il Richmond di Shakespeare, futuro Enrico VII nonché padre di Enrico VIII e nonno di Elisabetta I – quest’ultima felicemente regnante al tempo del Bardo – era un pretendente dalle ambizioni non troppo fondate (discendeva dalla vedova di Enrico V e dal suo secondo marito gallese). Logico che appena arrivato alla corona costui si adoperasse per annunciare al mondo di averlo liberato da un uomo indegno, avido, corrotto e crudele, e per di più addirittura fisicamente deforme e respingente, secondo una descrizione che i suoi storici adottarono senza obiezioni. La scoliosi documentate dal recente ritrovamento dello scheletro di Riccardo, che comportò una deviazione della colonna vertebrale e l’abbassamento di una spalla non gli impedì una carriera nelle armi di tutto rispetto; ma consentì alla generazione successiva di descriverlo retrospettivamente come uno scherzo della natura, fisicamente ripugnante.

 Ligio all’ interpretazione ufficiale, Shakespeare fa dunque di re Riccardo III, semplicemente, un mostro. Ma poiché siamo a teatro, e un personaggio soltanto disgustoso sarebbe controproducente, ne fa allo stesso tempo un uomo dal fascino irresistibile e dall’ energia travolgente. In un ambiente – quello delle alte sfere del potere – dove tutti sono corrotti, infidi e privi di scrupoli, Riccardo sa di essere il più intelligente, più forte e più deciso di tutti. Grande manipolatore, sommo burattinaio, non trova chi gli si opponga: con la violenza o con la persuasione ottiene che gli altri assecondino i suoi progetti, ovvero gli facciano direttamente da sicario. Nella più audace scena di seduzione di tutto il teatro mondiale alla sua forza trascinatrice cede persino la nuora di una sua vittima nonché vedova di un’altra. Ma Shakespeare non sarebbe Shakespeare se il suo racconto fosse a senso unico. Mostrando il progresso inarrestabile di questo archetipo di “villain” – uno dei primi “uomini che adorate odiare” – l’autore insinua anche il sospetto che costui non rappresenti la clamorosa eccezione (il Male che una volta eliminato non tornerà mai più) ma piuttosto l’esasperazione della regola. Riccardo fa, cinicamente direttamente, quello che al suo posto farebbero tutti gli altri personaggi, se possedessero la sua carica vitale, che sulla scena si sostanzia in una eloquenza irresistibile: dopo Amleto, è il personaggio shakespiriano che parla di più. E possiamo scommettere che anche con la sua caduta, una volta smaltita la sbornia di sangue, gli sporchi giochi della politica non cesseranno. (Masolino d’Amico)

Botteghino OSTIA ANTICA
Via dei Romagnoli, 717 Ostia Antica – Roma 06.5650396 – Lun-Sab 11.00-19.00
Sito Ostia Antica Teatro: http://www.ostianticateatro.it/
Orario spettacoli: 21.00

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