Vi regalo una piccola anticipazione, con un’intervista che abbiamo scelto di publicare solo qui sulla testata online.
Il gancio per noi è stata Christine Grimandi, che ci ha presentato Maurizio Montobbio.
INTRO di Christine Grimandi: Incontriamo un altro grande professionista della piattaforma Online www.musiclive.life: Maurizio Montobbio. La prima volta che l’ho incontrato a Parigi, città nella quale risiede già da molti anni, ho immediatamente capito che mi trovavo di fronte a un grande professionista. e dialogare con lui è sempre stato piacevole e stimolante. Maurizio ha iniziato a occuparsi d’illuminazione di scena come tecnico luci al Teatro dell’Opera di Genova, oggi Teatro Carlo Felice e ha proseguito la sua formazione alla Lester Polakov’s Studio and Forum of Stage Design a New York, dove è diventato lighting designer e membro della Union locale degli Artisti Scenici.
La voix humaine de Francis Poulenc Sandrine Buendia soprano (nella foto) Maestro concertatore David Levi Regia di David Levi e Doug Fitch Scene di Doug Fitch Foto di Matthew Weinreb |
Ha lavorato trasversalmente dall’opera alla danza, dal teatro alla commedia musicale e si è occupato di numerosi eventi. Nel settore della danza ha, tra altri, collaborato con Rudolph Nureyev ed Elisabetta Terabust al Teatro alla Scala, con Brigitte Lefèvre, Patrice Bart, Sylvie Guillem e Patrick Dupond all’Opera di Parigi, con il balletto dell’Opera di Monaco di Baviera e dell’Opera di Berlino e nel mondo della danza contemporanea ha lavorato con la White Oak Dance Project di Mikhail Baryshnikov e con Jean Grand-Maître. Oltre a diversi spettacoli di teatro di prosa, nell’opera lirica è stato lighting designer per l’Opera di Parigi, l’Opera di Nancy, l’Opera di Lione, l’Opera di Saint-Etienne, l’Opera di Clermont-Ferrand e per il Teatro Carlo Felice di Genova. Per Paolo Micciché, Maurizio ha illuminato Macbeth alla Washington National Opera e La forza del destino e Madame Butterfly all’Opera di Baltimora. In parallelo alla sua attività di lighting designer, ha sviluppato una carriera di coordinatore e direttore tecnico nella danza, l’opera lirica e per “corporate events”. Coordinatore tecnico delle tournées europee di White Oak Dance Project di M. Baryshnikov, direttore allestimenti del Teatro Carlo Felice di Genova e di eventi per marche fra le più prestigiose, dalla Marcadé Events di Parigi a Le Crazy Horse. Maurizio ha seguito in Francia corsi di management e sui rischi psico-sociali, corsi di sicurezza sul lavoro e ha conseguito diplomi in sicurezza dei lavori elettrici e SSIAP1. Negli ultimi anni ha diretto e montato diversi cortometraggi nell’ambito dell’attività didattica per un liceo parigino che ha vinto il premio nazionale francese per l’innovazione pedagogica e ha un rapporto di collaborazione con il CFPTS (Centre de Formation Professionnelle aux Techniques du Spectacle di Bagnolet, periferia di Parigi).
Maurizio tu sei nato e hai iniziato la tua carriera in Italia e successivamente ti sei trasferito a Parigi dove tuttora abiti. Raccontami di te, come tutto è iniziato: le tue passioni e i tuoi timori, i tuoi up and down, gli incontri che hanno cambiato il tuo percorso artistico e le tue collaborazioni internazionali…
Un giorno, la scuola ci portò al Teatro Duse di Genova, a vedere Equus, di Peter Schaffer. Uscendo mi sentii strano, turbato, al punto che acquistai il testo, che ho ancora. Io avevo 17 anni e il regista, Marco Sciaccaluga, al debutto, ne aveva 22. Riuscì a stregarmi. Un paio d’anni dopo, continuavo a giocare al calcio e avevo un piccolo stipendio, una paghetta piena di sugo che condiva il mio tempo libero di adolescente. Non bravo abbastanza smisi.
Evento Cartier alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna GNAM- Roma Produzione Marcadé Event Direzione Artistica Pierre Attrait Foto Stephan Olivier
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Chiesi quindi a mio padre se conoscesse qualcuno per qualche lavoretto saltuario in modo da rimpiazzare il reddito perduto. Mi portò con lui a lavorare agli spettacoli di “rivista”, classici di fine anno, dove era attrezzista serale per cambiare gli arredamenti delle scene e arrotondare il magro stipendio. Ricordo che una delle prime informazioni ottenute, chiedendo da dove s’iniziassero a contare le file di una platea, fu – dopo una grossa risata – che la prima fila è quella più vicina al palco, e non quella più lontana…
Dopo quel mese di dicembre continuai, sostituendo mio padre nelle stesse mansioni alla stagione primaverile del Teatro dell’Opera, con contratto stagionale, lasciando poi anche l’università. Mi nutrivo di rock, di preferenza progressivo inglese, ma anche di jazz, da poco scoperto all’università (dove non ebbi mai stimoli motivanti…), ma quando, in quinta, in attesa di cambiare la scena, ascoltai per la terza sera in una settimana una certa aria, dove il baritono dichiarava, solo di fronte al pubblico, il suo amore per la soprano, qualcosa scattò dentro di me. Continuai, passando ai tecnici luci, in virtù del mio diploma di perito elettrotecnico, ma soprattutto per l’interesse e la strana mistura di sentimenti espressi da questo mondo che mi stava aspirando. L’anno dopo fui assegnato al servizio luci della stagione concertistica in un altro teatro della città e quelle sere d’inverno confermarono il mio interesse, se non ancora amore, per la grande musica.
I miei anziani colleghi non costituivano per me un modello. A 20 anni avevo bisogno di allargare e di molto i miei orizzonti. Dopo qualche anno di apprendimento del mestiere cominciai a sperare in un evento che mi permettesse di trovare una strada che sbloccasse una situazione professionale che sentivo bloccata su obbiettivi per me insufficienti. Avevo bisogno di mettermi in gioco. E successe. West Side Story al Festival di Nervi fu la mia prima esperienza di commedia musicale e anche il mio primo contatto con il mestiere di Lighting Designer. Ms Marcia Madeira era la lighting designer dello spettacolo, un mestiere che in Italia era agli albori. Ricordo che i nomi del mestiere in Italia si contavano sulle dita di una mano: Vannio Vanni, Gianni Mantovanini e Gianni Notari alla Scala, Guido Baroni a Firenze, Giancarlo Bottone a Roma… Mi perdonino gli altri grandi dell’epoca se non li nomino…
Chiesi alla signora, con la faccia abbronzata che avevo all’epoca e con il mio inglese da seconda media, informazioni sul mestiere. Riuscendo a capirci con parole, risate e gesti, venne fuori che negli USA c’erano molte scuole di lighting design. In Italia, all’epoca, zero. Il percorso possibile prese forma e approfittai dell’invito di alcuni membri della compagnia per partire in esplorazione a New York, senza aver quasi mai viaggiato al di fuori della LIguria. I miei mi lasciarono sbattere e spendermi i soldi che erano poi i miei risparmi… Un mese a New York mi permise d’imparare l’inglese per davvero, grazie alla pazienza degli amici di New York. Lavorai (gratuitamente, certo…) come assistente di Marcia a Hedda Gabler di Ibsen (altro che West Side Story…) stando per la prima volta seduto in sala, al tavolo di regia. A New York visitai due scuole di lighting design. Una, alla New York University, i cui costi non avrei mai potuto sostenere e dove i corsi erano per me di base, in quanto avevo già 4 anni di tecnico luci in valigia e avevo bisogno di corsi più avanzati. L’altra nel “very west Village”, sopra una fabbrica di pitture, nel distretto della carne di Manhattan.
Lo Studio and Forum of Stage Design di Lester Polakov, fondata nel 1958, puzzava di pittura per via della fabbrica sottostante ma anche per le tele che gli allievi di pittura di scena dipingevano tutti i giorni. Era il suo odore e la qualità dei locali era quella che secondo me avrebbe dovuto essere quella di una scuola di design teatrale, fatta di mobili recuperati, di scaffali e mensole di legno consunto e sporco di pittura su un parquet rumoroso e grezzo. Ritornato a Genova cominciai a risparmiare per pagarmi un periodo di studi sopra la fabbrica di pittura, nel distretto dei macelli di Manhattan. L’anno dopo ebbi la fortuna di essere ri-invitato a New York e di rilavorare come assistente a un altro spettacolo con Marcia, al Sands Hotel and Casino di Atlantic City, dove imparai di più un po’ su tutto… Ritornai allo Studio di Lester e gli chiesi l’ammissione al secondo e ultimo anno, in quanto già conoscevo le basi tecniche e i risparmi non sarebbero mai bastati per due anni. Mi disse di sì e così, felice di avere una sfida di tale livello davanti a me, ritornai a Genova con il preciso progetto di stabilirmi a New York per un anno scolastico e imparare il mestiere del Lighting Designer. Ci vollero però altri due anni prima di poter andare. Ci volle tempo per mettere da parte i fondi necessari e per assentarmi dal lavoro all’Opera di Genova senza perderlo, cosa che ancora non mi potevo permettere. Così, appena vinto il concorso a tempo indeterminato a Genova, chiesi e mi fu concesso un ritardo di 10 mesi all’assunzione e partii per New York alla fine di un mese di agosto. I primi tempi fui ospitato poi, nell’inverno affittai una stanza in un appartamento a Brooklyn, da un tecnico teatrale italo-svedese-americano, in un quartiere tutt’altro che elegante. Fu un periodo di grande crescita e apprendimento e divertimento. Ho difficoltà a ricordare una sera di calma ritirata se non quando dovevo riposare… Allo Studio di Lester si avanzava rapidamente. Un nuovo spettacolo per il quale creare le luci ogni tre settimane con un nuovo lighting designer che portava i testi e le carte del suo ultimo spettacolo sulle quali studiare. Le immagini restavano sulla carta e nelle nostre immaginazioni, perché non avevamo un teatro dove mettere in pratica la nostra creatività – e all’epoca i software visualizzatori non esistevano – ma pensarle e parlarne in modo critico con il lighting designer di turno e confrontarle con i progetti tecnici per realizzarle, disegnati in pianta e sezione su carta traslucida era, ogni volta, un avanzamento e un arricchimento delle nostre competenze. Durante l’anno feci “Rigoletto” a Baltimora e “Penn & Teller” off-Broadway come assistente a due professori. Poi il consiglio di iscrivermi all’esame per far parte della Union dei Lighting Designer di New York. Ricevute le carte mi blindai nella stanza a Brooklyn con un tavolo da disegno tecnico portatile posato su due blocchi di gommapiuma grigia, a loro volta posati su un tavolino da caffè con una gamba fissata con il nastro da pacchi e comincio a disegnare, seduto sul bordo troppo duro di una poltrona con le molle di fuori, coprendo le tavole del pavimento di trucioli di gomma da cancellare…
Il progetto fu quasi insufficiente, ma la prova pratica ando’ bene, grazie alla mia abitudine al palcoscenico incamerata durante i cinque anni precedenti all’Opera di Genova (oggi Teatro Carlo Felice) e a un po’ di fortuna…. Incredibile ma vero fui ammesso. Mi diedero la tessera e il timbro con il mio numero di affiliazione alla United Scenic Artists, Local Union di New York! Tornato a Genova ripresi il mio posto di tecnico luci all’Opera di Genova, ma non ero più a posto, che mi stava più che stretto. Al festival del Balletto di Nervi (quello vero…) passò il regista del West Side Story che anni prima aveva dato l’avvio a tutto, Richard Caceres. Gli dissi della mia esperienza newyorkese, città dalla quale si era trasferito a Parigi. Poche settimane dopo mi invitò a creare le luci di una commedia musicale a Parigi, “The Fantasticks”, un gioiellino che feci bene con soli 31 proiettori, all’epoca rigorosamente non mobili e completamente manuali. Nel frattempo, arrivò l’invito di una regista, Adelaide Bishop, per le luci del Ratto di Lucrezia di Benjamin Britten, un’opera in un conservatorio del Connecticut, dove lei insegnava, sostituendo il mio professore principale, Bob Brand, che non era più disponibile.
Ottenni un secondo periodo di aspettativa dall’Opera di Genova, per passare l’autunno fra Parigi e New York. Nel frattempo, mi chiamarono per coordinare il trasferimento di Bohème da Philadelphia a Modena, per festeggiare il compleanno operistico di Luciano Pavarotti, progetto che mi allontanò quasi definitivamente dall’Opera di Genova. Iniziai quindi una carriera da libero professionista, con esperienze all’Opera di Parigi e alla Scala, oltre ad altri teatri, con Rudolph Nureyev, Ezio Frigerio, Vinicio Cheli, Patrick Dupond, Luisa Spinatelli, Patrice Bart, Brigitte Lefevre, Jean Grand-Maitre, Mikhail Baryshnikov e altri grandi, in piccoli e grandi teatri, progetti che, fra gli altri, m’incoraggiarono a non abbandonare lo spettacolo nei molti momenti difficili del mio percorso.
Molto interessante !
Bravo Maurizio! Un bel percorso!
una bellissima avventura! bravo maurizio. attendiamo il seguito
Complimenti Mauri, che bel percorso hai fatto. Innescato dalla passione che ti ha portato via da Genova, città affascinante e molto difficile da abbandonare, ma che ti stava decisamente stretta….